Elezioni, il business del voto di scambio: fino a 100 euro a famiglia

fonte: NINNI PERCHIAZZI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

In principio fu il senatore Achille Lauro, poi sindaco di Napoli negli anni Cinquanta a varare la politica della «scarpa spaiata». La leggenda racconta che l’illustre politico distribuisse la scarpa sinistra in campagna elettorale e dopo il voto, a successo conquistato, concedesse anche quella destra. Ingegnoso ma altrettanto illegale quanto le pratiche susseguitesi nel tempo che hanno permesso di mantenere in vita ancora oggi la consuetudine rappresentata dalla compravendita di voti ovvero un reato di cui tutti parlano e sanno, tanto da ritenerla una pratica tutto sommato possibile. Quasi normale.

Non quindi peregrino l’allarme lanciato qualche settimana fa da un membro della commissione parlamentare antimafia sul pericolo dell’inquinamento del voto, come è quantomai attuale, purtroppo, la denuncia dell’associazione antimafia Libera (guidata da don Ciotti) circa l’esistenza in Italia del «partito della corruzione», un’entità capace di muovere almeno il 4 % del consenso del Paese ovvero un pacchetto di voti non da poco. Una considerazione frutto alle rilevazioni dell’Istat, secondo la quale a oltre 1 milione e 700 mila cittadini (pari al 3,7% popolazione fra i 18 e gli 80 anni) sono stati offerti denaro, favori o regali per avere il loro voto alle elezioni amministrative, politiche o europee. Circa 4 milioni di italiani poi, hanno dichiarato di «conoscere personalmente parenti, amici, colleghi o vicini, ai quali è stato chiesto il voto in cambio di soldi o favori», con un picco registrato in Puglia, con una percentuale del 23,7% del campione. In regione, quindi, poco meno di un milione di pugliesi è perlomeno a conoscenza di tali consuetudini, capaci di smuovere milioni di euro.

Pressoché estinti i rappresentanti di lista – elementi interni ai partiti che non percepivano compensi ed espletavano il loro compito per spirito di servizio ovvero gratis assistendo alle operazioni di voto e di scrutinio per conto del partito o di un candidato -, ha ormai preso piede la figura del raccoglitore di preferenze. È una sorta di mutazione genetica del rappresentante di lista, che, rivelano i bene informati (anche se è un segreto di Pulcinella), gestiscono gruzzoletti variabili da 3mila a 10mila euro con cui si assicurano pacchetti di voti pagando ciascuna preferenza tra 20 e 50 euro in alternativa con buoni benzina, buoni pasto o tessere telefoniche. Cifre in linea con chi frequenta gli ambienti delle macchine politico elettorali e racconta «che al San Paolo c’è chi si sta muovendo assicurando cento euro a famiglia per almeno tre voti», anche perché, come detto, il mercato elettorale appare sempre più dinamico e pronto ad adeguarsi ai tempi.

Anche i conti non è difficile farli. Con 17-20mila euro è possibile garantirsi da 350 a 500 voti, che con un ulteriore sforzo possono arrivare a mille, spesso l’equivalente di una polizza a garanzia dell’agognata elezione. A Bari sono trentasei i seggi (più la poltrona del sindaco) dell’aula Dalfino, a contenderseli più di ottocento candidati consiglieri comunali suddivisi nelle ventiquattro liste a sostegno dei sei aspiranti primo cittadino, mentre si supera quota mille al capitolo aspiranti consiglieri dei cinque Municipi. Come detto, è impresa tutt’altro che improba sviluppare qualche calcolo del giro di danaro generato dall’appuntamento con le amministrative in programma l’ultima domenica di maggio. Senza esagerare, la campagna elettorale sotterranea e parallela a quella ufficiale – quella canonica fatta di santini, manifesti e comitati -, muove in modo quasi scientifico un giro milionario di denaro totalmente a nero, attorno al quale aleggia minacciosa la criminalità, che pure recita una parte da protagonista in tali tristi vicende.

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