È di 6 milioni il tesoro di Chiariello: sigilli a 3 immobili nel centro di Bari

Dopo la sentenza di Lecce, la Finanza ha trovato altri 3,6 mln su un conto corrente – fonte: Massimiliano Scagliarini – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

Il sequestro preventivo che il 7 marzo la Finanza ha eseguito sui conti dell’avvocato Giancarlo Chiariello ha portato a mettere le mani su quasi sei milioni di euro tra contanti, titoli e immobili. Sono i soldi ritenuti provento dell’evasione fiscale che il legale barese – appena condannato a Lecce, insieme all’ex gip Giuseppe De Benedictis, per corruzione in atti giudiziari – avrebbe messo in atto nella più che trentennale carriera in cui ha assistito tra l’altro alcuni pezzi da novanta della criminalità pugliese.

Ad aprile, quando Giancarlo Chiariello fu arrestato per corruzione insieme all’ex gip, i carabinieri trovarono a casa del figlio Alberto altri 1,1 milioni di euro in contanti, imbustati sottovuoto e nascosti in tre zaini. La sentenza di Lecce (che ha condannato il padre e l’ex gip a 9 anni e 8 mesi, e il figlio a 4 anni) ha disposto la confisca di quel denaro. Ora la Procura di Bari ha messo i sigilli anche a quell’immobile, insieme ad altri due: la casa in cui vive l’avvocato, a due passi dall’Università, e l’appartamento poco lontano in cui aveva sede lo studio nel frattempo chiuso.

Su un conto della dipendenza barese di Banca Generali, l’avvocato Chiariello aveva 3,6 milioni di euro tra disponibilità liquide e investimenti mobiliari. I finanzieri hanno tracciato la genesi di quella provvista: il denaro proveniva da un conto Ubs, ma non veniva movimentato da tempo. Sintomo, secondo gli investigatori, del fatto che il professionista maneggiasse soprattutto contanti. Lo dimostrerebbe – sempre secondo l’impostazione accusatoria, non ancora passata dal vaglio di un giudice – anche la modalità con cui Chiariello ha acquistato l’abitazione del figlio: un immobile valutato circa 400mila euro e preso attraverso un finanziamento di tipo Lombard, una particolare tipologia di credito in cui non c’è ipoteca sul bene ma viene costituito un pegno su un portafoglio mobiliare. Il punto, comunque, è che Chiariello avrebbe regolato le rate del finanziamento direttamente in contanti: un altro indizio – secondo chi indaga – della grande disponibilità di fondi rinvenienti da evasione fiscale.

L’inchiesta per evasione fiscale condotta dal pm Gaetano Dentamaro è partita dalle parole di un pentito di mafia, Domenico Milella, secondo cui Chiariello avrebbe chiesto fino a 100mila euro per difendere una persona accusata di omicidio. Un secondo pentito ha raccontato di aver corrisposto al legale numerosi acconti per la difesa di un boss barese, Giuseppe Misceo, arrestato nel 2014 per omicidio. Un pezzo grosso della mafia foggiana ora pentito, Danilo Della Malva, ha confermato di aver pagato a Chiariello 30mila euro per ottenere i domiciliari dall’ex gip De Benedictis. Il collaboratore di giustizia Adriano Pontrelli ha parlato di 15mila euro versati cash per un appello. Eppure – secondo la Procura – tra il 2016 e il 2019 Chiariello ha dichiarato redditi tra i 26mila e i 60mila euro annui, a fronte però di un livello di spesa «particolarmente elevata»: auto, gioielli, titoli di credito, obbligazioni e conti correnti su quali sono stati registrati depositi milionari in contanti e assegni. E dunque, attraverso l’esame dei 239 fascicoli sequestrati nello studio dopo l’arresto, una consulenza chiesta dalla Procura ha ricostruito il valore dell’attività professionale svolta da Chiariello: e dunque, per differenza con quanto effettivamente fatturato, una seconda consulenza ha valutato in 10,8 milioni di euro il totale dell’Iva e delle imposte che l’avvocato avrebbe sottratto al fisco tra il 2014 e il 2019. Una buona parte di quei soldi, adesso, sono finiti sotto sequestro.

I difensori di Chiariello, professor Vito Mormando e avvocato Filiberto Palumbo, hanno presentato ricorso al Riesame contro il decreto di sequestro preventivo firmato dal gip Valeria Isabella Valenzi. Lo stesso Chiariello aveva riconosciuto che i contanti trovati in casa del figlio erano i proventi in nero «di vent’anni» dell’attività professionale. Ma adesso anche la difesa potrebbe predisporre una consulenza per dimostrare che le cifre ricostruite dall’accusa sono più alte del reale: pure gli avvocati migliori, nei fatti, hanno difficoltà a farsi pagare dai clienti per le cifre previste dai massimi di tariffa. L’udienza non è ancora stata fissata.

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