E arrivò il penalista imposto dall’Ilva: era la rete degli amici

Intanto la famiglia Riva ha voluto chiarire di non avere mai avuto rapporti con Laghi, con Capristo e anche con Amara – fonte: Chiara Spagnolo: bari.repubblica.it

Difendeva due dirigenti Ilva coinvolti nel processo “Ambiente Svenduto” ma, nell’autunno 2016, da un giorno all’altro i clienti gli chiesero di rinunciare al mandato perché l’azienda aveva imposto loro la nomina del penalista molfettese Giacomo Ragno: l’avvocato Luca Sirotti è uno dei testimoni che la Procura di Potenza ha utilizzato per costruire la richiesta di custodia cautelare, che il 27 settembre ha portato agli arresti domiciliari l’ex commissario di Ilva in amministrazione straordinaria Enrico Laghi, accusato di corruzione in atti giudiziari. Laghi ieri è stato interrogato dal gip Antonello Amodeo, che lo ha definito «il mandante» della corruzione dell’ex procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo. Per oltre un’ora l’ex commissario ha risposto alle domande del giudice, alla presenza del procuratore di Potenza Francesco Curcio e dei pm Anna Gloria Piccininni e Giuseppe Borriello. Al termine dell’interrogatorio, l’avvocato Mario Zanchetti non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Molto più articolati erano stati, a giugno, gli interrogatori di alcuni altri indagati ovvero l’avvocato Piero Amara e l’ex consulente Ilva Nicola Nicoletti, che hanno messo a verbale l’esistenza di un rapporto diretto tra Capristo e Laghi, finalizzato ad ottenere un atteggiamento investigativo favorevole all’azienda, nel difficile momento della trattativa per la vendita.
A fronte del suo aiuto, l’allora procuratore di Taranto avrebbe chiesto incarichi per il suo amico Ragno, al quale era profondamente legato sin dai tempi del suo incarico a Trani (e con il quale è imputato per altri presunti episodi di corruzione accaduti proprio a Trani). Di Ragno hanno parlato ai pm lucani sia Nicoletti che Amara e il suo arrivo all’Ilva nel 2016 è stato spiegato dall’avvocato che da lui fu spodestato. Sirotti all’epoca difendeva il direttore dello stabilimento Ruggero Cola e l’ingegnere Salvatore De Felice, il primo assolto al termine del processo Ambiente svenduto, il secondo condannato a 17 anni per disastro ambientale. «Fino ad allora non c’è mai stato alcun conflitto tra me e i dirigenti che difendevo – ha raccontato Sirotti – Le rinunce ai mandati mi furono sollecitate proprio dai clienti che, con diverse modalità, dissero che l’azienda gli aveva chiesto di sostituirmi con un altro professionista. Cola mi disse espressamente che al mio posto gli era stato detto di nominare Ragno e anche De Felice mi pare che fece il nome del professionista. Nel caso di Cola ci rimasi molto male e gli chiesi il motivo di questa decisione. Lui disse che si sentiva un uomo d’azienda, uso ad obbedir tacendo » . Sirotti ha anche fatto riferimento ad ulteriori questioni sull’Ilva, che allo stato non può spiegare perché legate al segreto professionale che lo vincola nella sua qualità di avvocato ma si è anche detto disponibile a parlarne se l’autorità giudiziaria potentina dovesse sollevarlo dall’obbligo della riservatezza. Sul punto, la valutazione spetta ai magistrati. Le indagini, comunque, proseguono e potrebbero portare ad ulteriori sviluppi.
Intanto la famiglia Riva, ex proprietaria dell’acciaieria di Taranto, ha voluto chiarire di non avere mai avuto rapporti con Laghi, con Capristo e con Amara, «con i quali non è stato stretto alcun accordo», definendo « inverosimile la notizia ». I Riva, al contrario, si ritengono « fortemente danneggiati dai fatti-reato contestati dalla Procura di Potenza, secondo cui il procuratore di Taranto avrebbe stretto accordi illeciti, a vario titolo, con i vertici dell’Ilva commissariata, con evidenti ripercussioni negative anche sul processo penale per l’asserito disastro ambientale a Taranto ».

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