Dress code alle corsiste, arrestato Bellomo. Minacciò Conte. La difesa: arresto immotivato

Una ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari è stato notificata a Francesco Bellomo, ex giudice barese del Consiglio di Stato, docente e direttore scientifico dei corsi post-universitari per la preparazione al concorso in magistratura della Scuola di Formazione Giuridica Avanzata ‘Diritto e Scienza’. Bellomo risponde dei reati di maltrattamento nei confronti di quattro donne, tre borsiste e una ricercatrice, alle quali aveva imposto anche un dress code, ed estorsione aggravata ai danni di un’altra corsista.

L’ex magistrato aveva citato per danni dinanzi al Tribunale di Bari Conte e un’altra ex componente della commissione disciplinare, Concetta Plantamura, “incolpandoli falsamente» di aver esercitato «in modo strumentale e illegale il potere disciplinare», svolgendo “deliberatamente e sistematicamente» una «attività di oppressione» nei suoi confronti, «mossa – denunciava Bellomo – da un palese intento persecutorio, dipanatosi in un numero impressionante di violazioni procedurali e sostanziali, in dichiarazioni e comportamenti apertamente contrassegnate dal pregiudizio».

Pochi giorni dopo la notifica della citazione e nell’imminenza della seduta del Plenum per la discussione finale del procedimento disciplinare a suo carico, Bellomo avrebbe depositato una memoria chiedendo «l’annullamento in autotutela degli atti del giudizio disciplinare per vizio di procedura» e il suo «proscioglimento immediato» per «evitare ogni ulteriore aggravamento dei danni ingiusti già subiti». Per la Procura di Bari, Bellomo avrebbe così «implicitamente prospettato oltre all’aggravarsi dell’entità del risarcimento chiesto, anche il possibile esercizio di azioni civili in caso di ulteriori danni».
Avrebbe quindi minacciato Conte e Plantamura «per turbarne l’attività nel procedimento disciplinare a suo carico – si legge nell’imputazione – e impedire la loro partecipazione alla discussione finale, influenzandone la libertà di scelta e determinando la loro estensione, benché il CPGA avesse votato all’unanimità, ed in loro assenza, l’insussistenza di cause di astensione e ricusazione».

ALLE BORSISTE OBBLIGO DI FEDELTA‘ – Ad alcune borsiste della Scuola di Formazione Giuridica Avanzata ‘Diritto e Scienzà dell’ex giudice del Consiglio di Stato Francesco Bellomo era imposto «il divieto di contrarre matrimonio a pena di decadenza automatica dalla borsa». È uno dei particolari contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari notificata oggi a Bellomo nella sua casa di Bari per i reati di maltrattamenti ed estorsione.
Alle ragazze era imposto un contratto che «imponeva una serie di obblighi e di divieti», come la «fedeltà nei confronti del direttore scientifico» e «l’obbligo di segretezza sul contenuto delle comunicazioni intercorse». Il contratto prevedeva anche “un addestramento del borsista» e «attribuiva un potere di vigilanza e un potere disciplinare alla società in caso di violazione dei doveri, sanzionata con la ‘censura, la sospensione, la retrocessione, la decadenza’, prevedendo la revoca della borsa di studio in caso di inosservanza dei doveri e l’irrinunciabilità della stessa una volta iniziata l’attività»

Le borsiste della Scuola di Formazione dell’ex giudice Francesco Bellomo, oggi arrestato per maltrattamenti e estorsione, dovevano «attenersi ad un dress code suddiviso in ‘classico’ per gli ‘eventi burocratici’, ‘intermedio’ per ‘corsi e convegni’ ed ‘estremo’ per ‘eventi mondani’» e dovevano «curare la propria immagine anche dal punto di vista dinamico (gesti, conversazione, movimenti), onde assicurare il più possibile l’armonia, l’eleganza e la superiore trasgressività’ al fine di pubblicizzare l’immagine della scuola e della società».

Sono alcuni passaggi del contratto imposto alle borsiste e riportati nell’ordinanza di arresto. L’abbigliamento definito «estremo» prevedeva «gonna molto corta (1/3 della lunghezza tra giro vita e ginocchio), sia stretta che morbida + maglioncino o maglina, oppure vestito di analoga lunghezza”; quello «intermedio» «gonna corta (da 1/3 a ½ della lunghezza tra giro vita e ginocchio), sia stretta che morbida + camicetta, oppure vestito morbido di analoga lunghezza, anche senza maniche; il «classico» «gonna sopra il ginocchio (da ½ a 2/3 della lunghezza tra giro vita e ginocchio) diritta + camicetta, oppure tailleur, oppure pantaloni aderenti + maglia scollata. Alternati». Il dress code imponeva anche «gonne e vestiti di colore preferibilmente nero o, nella stagione estiva, bianco. Nella stagione invernale calze chiare o velate leggere, non con pizzo o disegni di fantasia; cappotto poco sopra al ginocchio o piumino di colore rosso o nero, oppure giacca di pelle. Stivali o scarpe non a punta, anche eleganti in vernice, tacco 8-12 cm a seconda dell’altezza, preferibilmente non a spillo. Borsa piccola. Trucco calcato o intermedio, preferibilmente un rossetto acceso e valorizzazione di zigomi e sopracciglia; smalto sulle mani di colore chiaro o medio (no rosso e no nero) oppure french»

GIP: MANIPOLAZIONE PSICOLOGICA DELLE VITTIME –  Il gip del Tribunale di Bari Antonella Cafagna che ha disposto l’arresto, con concessione dei domiciliari, dell’ex giudice barese del Consiglio di Stato Francesco Bellomo, parla di «indole dell’indagato in seno al rapporto interpersonale in termini di elevata attitudine alla manipolazione psicologica mediante condotte di persuasione e svilimento della personalità della partner nonché dirette ad ottenerne il pieno asservimento se non a soggiogarla, privandola di qualunque autonomia nelle scelte, subordinate al suo consenso». Nell’ordinanza il giudice analizza quello che definisce «sistema Bellomo», nel quale «l’istituzione del servizio di borse di studio non era altro che un espediente per realizzare un vero e proprio adescamento delle ragazze da rendere vittime del proprio peculiare sistema di sopraffazione, fondato sulla concezione dell’agente superiore e sui corollari di fedeltà, priorità e gerarchia». Secondo «la concezione ‘bellomianà dei rapporti interpersonali», le vittime sarebbero state prima «isolate, allontanandole dalle amicizie», quindi Bellomo ne avrebbe tentato una «manipolazione del pensiero se non addirittura di indottrinamento» con successivo «controllo mentale, mediante l’espediente di bollare come sbagliate le opinioni espresse o le scelte compiute dalla vittima, in modo da innescare un meccanismo di dipendenza da sé». È anche una delle vittime a definire il rapporto con Bellomo “come se si fosse impossessato della mia testa»

UN CONTRATTO DI SCHIAVITU’ SESSUALE – Confidandosi con la sorella, una borsista della Scuola di Formazione dell’ex giudice Francesco Bellomo, disse di aver sottoscritto «un contratto di schiavitù sessuale». Un’altra borsista sarebbe stata «punita» per aver violato gli obblighi imposti dal contratto, finendo in una rubrica sulla rivista della Scuola con «dettagli intimi sulla sua vita privata». Mentre da un’altra ancora avrebbe preteso che “si inginocchiasse e gli chiedesse perdono» per avere violato regole del contratto. 

Sono alcuni dei particolari contenuti nell’ordinanza di arresto dell’ex giudice del Consiglio di Stato per i reati di maltrattamenti ed estorsione. La ragazza che parlava con sua sorella di schiavitù, si sfogava con un’altra corsista: «Ho rinunciato alla borsa ma sono terrorizzata dalla reazione», «mi stanno facendo paura», «non vogliono lasciarmi andare». Sentita dagli inquirenti della Procura di Piacenza, che aveva avviato un’altra indagine su Bellomo e i cui atti sono stati in parte trasmessi a Bari, la presunta vittima, spiegando il controllo che l’ex giudice aveva sui suoi social network, ha dichiarato di vergognarsi «delle foto che sono stata costretta mettere, mi facevo schifo da sola, mi sentivo messa in vendita».

Bellomo l’avrebbe anche accusava di intrattenere relazioni con altri uomini sulla base di scambi di like su Facebook, definendola «scientificamente una prostituta».
Dopo la pubblicazione sulla rivista della scuola dei dettagli intimi della borsista «punita» per aver violato gli obblighi imposti dal contratto, Bellomo avrebbe anche bandito un “concorso tra i corsisti lettori» con in palio l’iscrizione gratuita al corso dell’anno successivo «per chi avesse fornito la migliore spiegazione dei comportamenti della ragazza».

In uno dei messaggi rivolti invece ad una ricercatrice della scuola «colpevole» di essere uscita di sera senza la sua autorizzazione, scriveva: «Non autorizzerò più uscite serali e mentre attendevo che ti facessi viva, mi sono fatto una lesione al pettorale, perché ho perso la concentrazione. Questo significa avere a fianco un animale. Perché tu sei così».
«Gli animali non conoscono dispiacere – scriveva in un altro messaggio – La decisione di uscire ieri sera è l’ennesima riprova del tuo dna malato. Agisci come un selvaggio, ignorando le regole». Bellomo pretendeva «dedizione» come «l’obbligo di rispondere immediatamente alle sue telefonate e messaggi abbandonando qualsiasi attività, anche lavorativa, in cui fosse in quel momento impegnata». Lui doveva essere per lei una “assoluta priorità». All’indomani dell’ennesimo litigio, dopo le scuse della ragazza, lui avrebbe preteso che «si inginocchiasse e gli chiedesse perdono». «Non ha il significato della sottomissione – scriveva in un altro messaggio – ma della solennità. Con le forme rituali».

CONTROLLAVA I LIKE SU FACEBOOOK – L’ex giudice del Consiglio di Stato Francesco Bellomo, agli arresti domiciliari da questa mattina a Bari per i reati di maltrattamenti ed estorsione, avrebbe instaurato con alcune borsiste «rapporti confidenziali e, in alcuni casi, sentimentali» e, «facendo leva sul rispetto degli obblighi assunti», avrebbe posto in essere «sistematiche condotte di sopraffazione, controllo, denigrazione ed intimidazione consistite nel controllarne, anche nel timore che intrattenessero relazioni personali con altri uomini, le attività quotidiane, le relazioni personali e in genere le frequentazioni, anche attraverso il monitoraggio dei social network», controllando foto e like ai loro post.

Alle ragazze sarebbero stati imposti «la cancellazione di amicizie, di fotografie pubblicate», «l’obbligo di immediata reperibilità», il «divieto di avere rapporti con persone con un quoziente intellettivo inferiore ad uno standard da lui insindacabilmente stabilito», l’obbligo di «indossare un determinato abbigliamento e di attenersi a determinati canoni di immagine, anche attraverso la pubblicazione sui social network di foto da lui scelte».
«Qualora il loro comportamento non corrispondesse ai suoi desiderata», Bellomo le avrebbe «umiliate, offese e denigrate», anche «attraverso la pubblicazione sulla rivista on line della scuola delle loro vicende personali». Le avrebbe anche minacciate «di ritorsioni sul piano personale e professionale» e di «azioni legali in sede civile e penale». 

UNA VITTIMA CHIESE AIUTO A CAROFIGLIO – L’ex pm di Bari Gianrico Carofiglio, poi dimessosi dalla magistratura per dedicarsi alla carriera di scrittore, sarebbe stato contattato da una presunta vittima dell’ex consigliere di Stato Francesco Bellomo in quanto suo amico e, stando al racconto della donna, avrebbe poi informato Bellomo della cosa. La donna che riferisce l’episodio di Carofiglio non è tra le quattro presunte vittime dell’inchiesta barese.

Il suo verbale è contenuto negli atti del procedimento aperto dalla Procura di Piacenza ma il gup di Bari ne riporta stralci per spiegare la personalità dell’indagato. La donna riferisce vicende risalenti agli anni 2006-2007: «Mi rivolsi spaventata al suo amico Gianrico Carofiglio, allora in servizio alla Procura di Bari, chiedendogli di intercedere e di riportare Francesco alla ragione; lui mi consigliò di rivolgermi a un penalista; poco dopo ricevetti una telefonata furente di Bellomo, che mi disse di essere stato contattato da Carofiglio, che gli diceva che io stavo prospettando fatti di violenza privata, e che la situazione per lui si stava facendo davvero brutta; mi urlava, e mi diceva di lasciar fuori Gianrico e chiunque altro, che avevo passato il segno, e che mi avrebbe scatenato addosso l’inimmaginabile».

Carofiglio, dal canbto suo, nega di aver mai chiamato Bellomo. «Molti anni fa, credo nel 2006, una giovane donna chiese di essere ricevuta nel mio ufficio alla Procura di Bari, dove ho cessato di prestare servizio nel febbraio 2007. Mi disse che sapeva che il dottor Bellomo aveva fatto tirocinio con me anni prima e mi chiese un consiglio su una vicenda che riguardava entrambi. Si trattava di una storia confusa nella quale, astrattamente, si potevano configurare estremi di reati perseguibili a querela: lesioni, ingiurie e minacce. Le consigliai dunque di rivolgersi a un avvocato penalista con cui valutare la possibilità di sporgere querela. Escludo ovviamente di aver chiamato Bellomo per raccontargli di questo incontro».

LA DIFESA: BELLOMO NEGA, ARRESTO PER FATTI NOTI

«Il dottor Bellomo nega, nel modo più reciso, di aver mai posto in essere le condotte che gli vengono addebitate, peraltro sulla scorta di elementi acquisiti più di un anno fa e riferibili a fatti risalenti nel tempo». Lo dicono in una dichiarazione all’ANSA gli avvocati Gianluca D’Oria e Beniamino Migliucci, difensori di Bellomo precisando che non ci sono «i presupposti di ‘attualità’ e ‘concretezzà che per legge devono qualificare il ‘pericolo di reiterazionè dei reati».

«E men che meno – continuano – reputiamo condivisibile che tale ‘pericolò possa fondarsi su un giudizio di prognosi che contempli l’astratta eventualità che il dottor Bellomo possa in futuro instaurare nuove relazioni sentimentali che potrebbero offrire occasione per reiterare i reati che gli vengono contestati».

«Lo stupore è maggiore – dicono ancora i difensori – considerato che il dottor Bellomo ha sempre manifestato, sin dall’avvio dell’indagine penale (dicembre 2017), un atteggiamento collaborativo con l’autorità inquirente, rendendosi disponibile a confrontarsi con gli elementi in possesso della Procura di Bari e fornendo a più riprese proprie dichiarazioni spontanee, peraltro supportate da pertinente documentazione».

fonte: www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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