
l referente regionale di Libera: “La città sta crescendo, è vero, ma ci sono episodi ormai quotidiani, manifestazioni della cultura mafiosa dei quali tutti devono avere consapevolezza. Bisogna restare vigili” – fonte: Gennaro Totorizzo – bari.repubblica.it
L’allarme c’è. Ma non è una sirena rumorosa, quanto un malessere che cova e s’allarga dall’interno nel tessuto economico e sociale. In silenzio. Ed è questo a fare più paura: «In questo periodo il pericolo maggiore è l’indifferenza e la normalizzazione delle mafie», rimarca don Angelo Cassano, referente regionale di Libera. Vedi le mancate denunce per le aggressioni sulle baby gang o per i tentativi di estorsione. «La città sta crescendo, è vero, ma ci sono episodi ormai quotidiani, manifestazioni della cultura mafiosa dei quali tutti devono avere consapevolezza. Bisogna restare vigili».
L’ha sorpresa quel corteo davanti al carcere?
«A dirla tutta in questo momento sì, considerando tutto quello che abbiamo fatto in questa città non pensavo si potesse tornare a certe liturgie. Negli ultimi tempi i fuochi d’artificio hanno posto interrogativi, c’è ostentazione del proprio status sui social e magari in comunioni e matrimoni, ma più di questo non si vede. Mi ha molto addolorato: rispetto la morte di questo ragazzo e il dolore della famiglia, ma non si può ottenere verità e giustizia in questo modo bensì attraverso la fiducia nelle istituzioni e nella magistratura».
Ormai la criminalità preferisce il silenzio.
«Il rischio è proprio la normalizzazione delle mafie, l’ha detto più volte anche don Luigi Ciotti. I momenti celebrativi non bastano se non andiamo ad analizzare come evolvono le mafie, in cosa investono nella ricerca di equilibri costanti. Tanti risultati si sono ottenuti, c’è la massima attenzione da parte della magistratura ma anche noi cittadini dobbiamo essere consapevoli. Ci troviamo di fronte a tanti episodi ormai quotidiani come quelli delle baby gang e ad altri legati all’indotto mafioso come estorsioni, usura e spaccio di droga che sta aumentando con movida e turismo. La città non deve cullarsi e vivere sugli allori di un processo positivo, ma dev’essere vigile e attenta».
Spesso però si cerca di smorzare il problema facendo riferimento a un passato peggiore.
«E questa narrazione non aiuta, tanto lavoro è stato fatto ma in questo momento c’è bisogno di un risveglio della coscienza civile, sociale e istituzionale. Non bisogna dare per scontato quanto fatto, ma avere il coraggio di impegnarci di più».
In cosa?
«Investendo per esempio in spazi educativi sociali nei quali far capire ai ragazzi che c’è un’alternativa alla solitudine completa e alla logica del branco. Ormai si crede che o sei un individuo isolato, e quindi sfigato, o devi entrare in certi giri che possono diventare un pericolo, perché poi è facile fare il salto».
Molti giovanissimi autori delle violenze non fanno parte di famiglie legate alle mafie. C’è il rischio che queste li assoldino oppure è solo una diffusione di atteggiamenti prevaricatori?
«Credo che i due fattori coesistano. C’è uno sfogo violento, maschile e femminile, senza alcuna ragione, e molti episodi, che non sono più sporadici, sono sottaciuti perché i genitori non denunciano: sono necessarie una precisa presa di coscienza e un’indignazione generale per non permettere che si lasci correre. D’altra parte, i magistrati hanno parlato proprio di un’infiltrazione del fenomeno mafioso nel ceto medio della città, quindi questi ragazzi anche incensurati vengono utilizzati dai gruppi criminali».
Il procuratore Roberto Rossi ha parlato di un imborghesimento.
«Sono entrati nel tessuto della società barese ed è difficile da distinguere. Per esempio molti ragazzi preferiscono diventare compagni di giovani che appartengono alle famiglie criminali e oggi non vengono più mandati a fare i lavori sporchi, ma convivono normalmente anche nella movida. Noi speriamo che questa contaminazione possa spingere al bene, ma il rischio è che la convivenza finisca per contagiare i ragazzi più fragili. Bisogna vigilare».
A breve sarà tempo di elezioni e c’è il rischio di infiltrazioni.
«I partiti devono prendere una posizione ben precisa. Se ci sono zone grigie e d’ombra nel rapporto fra politica e mafia, per noi tutto diventa più difficile e faticoso. Bisogna puntare su progetti e idee da portare avanti, il distinguo si fa sulle cose concrete: politiche sociali, abitative, giovanili, la sanità. Il consenso deve basarsi su questo».
Nella nuova Bari turistica come si adatta la mafia?
«Questo fenomeno è positivo, ma va accompagnato e gestito. I segnali che nel turismo ci siano investimenti della criminalità ci sono. Ed è importante che da un lato vengano portati avanti processi di progettazione con i cittadini, come si sta facendo con i residenti della città vecchia, e dall’altro si facciano controlli sui b&b e sui permessi. L’amministrazione deve vigilare».
In città aprono anche tanti nuovi locali.
«Il turismo spinge a creare nuove possibilità lavorative, non va esorcizzato, ma anche qui bisogna stare attenti perché sappiamo che possono esser fatti investimenti per riciclare il denaro. Questi processi vanno governati meglio, credo che chi si assumerà la responsabilità di questa città nel futuro dovrà partire da questo».
Silenzio è anche l’omertà sul fronte racket: lo ha denunciato ultimamente il coordinatore della Dda, Francesco Giannella.
«Le associazioni di categoria dovrebbero avere più coraggio nel mettersi assieme a fare una riflessione su questo tema, gli esercenti devono fare squadra, se si è soli prevalgono il silenzio e l’omertà. E a Bari c’è una malattia: l’individualismo e la frammentazione, non riusciamo a capire che soltanto mettendosi insieme non si ha paura».