
«È attorno all’ergastolo ostativo che ora si giocherà la partita decisiva tra Stato e mafia». Con l’ultimo boss stragista finito dietro le sbarre, Nino Di Matteo, in procinto di tornare alla Direzione nazionale antimafia dopo l’esperienza al Csm, guarda alla mafia che verrà.
Dottor Di Matteo, la cupola di Cosa Nostra è tutta in carcere. Morti Riina e Provenzano, boss come i Graviano, Bagarella, Madonia, possono considerarsi fuori gioco?
«Non solo i Graviano, ma direi un’intera generazione di mafiosi tra i 50 e i 65 anni, coltiva ancora la speranza di potere uscire dal carcere. Sono gli arrestati nel periodo immediatamente successivo alle stragi quando le indagini hanno potuto contare sulla grande spinta delle collaborazioni e importanti processi hanno portato a centinaia di ergastoli. Molti di loro hanno trascorso in cella 30 anni e dunque potrebbero godere di alcuni benefici. Sono certo che questi irriducibili non si rassegnano all’idea di morire in carcere».
E come potrebbero uscire? Il governo ha ulteriormente ristretto le maglie per la concessione dei benefici per gli ergastolani.
«Il decreto del governo va nella direzione giusta, alzando paletti importanti, ma lascia aperti alcuni varchi».
Che rischi intravede?
«Dobbiamo stare attentissimi a valutare contromosse e reazioni. Che potrebbero essere di segno opposto: o quella tragica di un nuovo attacco frontale allo Stato o quella, che tutti ci auguriamo, di una ripresa quantitativa e qualitativa delle collaborazioni. D’altra parte, basta ripercorrere alcuni capisaldi della storia più o meno recente di Cosa nostra per avere la controprova di quanto, nella vita di un mafioso, la detenzione è un tempo previsto, direi normale, che non incide sull’autorevolezza e non spezza i vincoli con l’organizzazione».
Ma l’ergastolo e soprattutto il 41 bis sono stati sempre l’incubo di tutti i mafiosi.
«Esatto. Il pentito Salvatore Cancemi nel ’93, quando Cosa nostra sperava ancora nell’aggiustamento del primo maxiprocesso, ci raccontò che Totò Riina ripeteva spesso: “Noi 8-10 anni di carcere per associazione, pure legati alla branda, ce li possiamo fare, ma mi sto giocando i denti per evitare gli ergastoli”. A dimostrazione di come, anche in quel momento, pur non aspettandosi che la Corte di Cassazione potesse annullare le condanne, i boss si giocavano tutto sul disconoscimento del cosiddetto teorema Buscetta, quello che poi ha portato agli ergastoli per i componenti della Cupola perché ritenuti i responsabili di tutti i delitti commessi».
Da allora però sono passati trent’anni e i boss via via arrestati sono rimasti al carcere duro.
«Sì, ma da sempre, nelle strategie più alte di Cosa nostra, l’obiettivo politico è stato quello di arrivare a eliminare gli ergastoli. Anche la stagione delle bombe del ’92-94, la strategia della tensione (della quale anche la mafia fu protagonista), aveva come obiettivo l’abolizione dell’ergastolo e del 41 bis. E negli anni successivi, con benefici e sconti di pena per i dissociati, la mafia ha continuato a coltivare questa speranza. Cito una conversazione intercettata in carcere nel 2016 quando Giuseppe Graviano dice al suo compagno di cella: “Non intendo collaborare con la giustizia anche perché sull’ergastolo bisogna aspettare buone notizie dall’Europa”».
Che poi effettivamente, in qualche modo sono arrivate.
«Infatti. Tra il 2019 e il 2021, prima la Corte europea dei diritti dell’uomo e poi la nostra Corte costituzionale hanno aperto il varco a benefici anche per gli ergastolani. Per questo dico che sull’ergastolo ostativo si giocherà la partita tra Stato e mafia».
Vuole dire che potrebbero porsi le basi per una nuova trattativa?
«Cosa nostra non ha mai smesso quella che è una sua peculiarità: cercare di condizionare l’attività legislativa e politica. E lo Stato in passato ha dato quantomeno la sensazione di avere accettato il piano dell’interlocuzione. Diciamo che oggi sarebbe molto importante evitare anche solo di dare l’impressione di essere disponibili a trattare quello che è e deve rimanere esclusiva del potere legislativo e politico».
Il ministro dell’Interno Piantedosi ha detto che i rapporti tra mafia e politica fanno parte di una storia passata. È d’accordo?
«Mi auguro che sia così, anche se vedo che alcuni soggetti che, da sentenze passate in giudicato, hanno avuto rapporti diretti o indiretti con la mafia, sono ancora importanti protagonisti della vita politica nazionale».
Falcone diceva che “la mafia non è affatto invincibile e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine”. Ci siamo vicini?
«Ce lo diranno solo le indagini future ma io penso che le previsioni di Falcone sono ancora molto lontane dalla loro realizzazione».
Almeno la stagione della mafia violenta possiamo ritenerla archiviata?
«Sarei molto prudente sul fatto che si sia chiusa la stagione delle stragi. Le mafie cambiano la loro strategia a seconda degli uomini e delle contingenze esterne, anche di natura politica. E mi sembra azzardato escludere un attacco frontale alle istituzioni. Affermazioni troppo nette possono anche inconsapevolmente indurre tutti ad abbassare pericolosamente la guardia».
