
Il Raggruppamento Operativo Speciale dell’Arma è nato proprio dagli insegnamenti del generale ucciso da Cosa nostra nel 1982 – fonte: Gianluca Di Feo – www.repubblica.it
Mentre il grande pubblico riscopre la figura di Carlo Alberto Dalla Chiesa grazie a una serie televisiva, gli ultimi eredi della sua lezione mettono a segno l’arresto di Matteo Messina Denaro. Il Ros – Raggruppamento Operativo Speciale – è nato proprio per sistematizzare gli insegnamenti del Generale: la capacità di agire come invisibili, infiltrandosi in quei feudi dove i criminali si sentono più sicuri, avendo però il vantaggio degli strumenti tecnologici più avanzati. Allo stesso tempo, il suo modello operativo cerca di sfruttare al meglio la doppia natura dell’Arma, quell’essere contemporaneamente operatori di polizia e militari: lo si è visto anche nelle immagini della cattura del padrino trapanese, con gli uomini del Ros in tenuta mimetica ed elmetto, come si usa nei combattimenti. Nella tradizione del Reparto non si parla mai di mafiosi o di terroristi: i criminali sono “il nemico”.
C’è chi fa risalire questa scelta ai trascorsi partigiani di Dalla Chiesa e chi ritiene che, prima ancora degli Anni di Piombo, l’abbia elaborata nella Sicilia del 1949, quando la lotta al banditismo imponeva di osservare i movimenti dei gruppi armati senza tradire la presenza delle vedette. Il modello troverà poi applicazione nella sfida alle Brigate Rosse mentre al prefetto di Palermo non saranno mai concessi i poteri per metterlo in pratica. Nel 1990 i vertici dell’Arma decisero di non disperdere quell’esperienza, rimasta in parte nei Nuclei anticrimine, e rivitalizzarla con la creazione del Ros. Non a caso, una delle prime squadre – quella guidata dal “capitano Ultimo” a Milano nel 1991 – si autodefiniva “unità militare combattente”: sono i carabinieri che esattamente trent’anni fa hanno ammanettato Totò Riina.
Chi è Matteo Messina Denaro: dalle stragi del ’93 all’omicidio del piccolo Di Matteo

Quanto quel metodo spaventasse i capi di Cosa Nostra lo dimostrano le annotazioni del libro che Bernardo Provenzano teneva sul comodino nel suo covo: nel manuale di “Tecnica anticrimine” pubblicato da Ultimo aveva sottolineato proprio le citazioni sugli insegnamenti di Dalla Chiesa. “Da lui ho appreso – ha dichiarato l’ex capitano Ultimo in un’intervista – che bisogna agire sulle cause del crimine e trasportare l’investigazione, l’osservazione sull’associazione per delinquere, più che sui singoli reati. Lui lo ha capito per primo e ha indirizzato i suoi reparti a seguire i criminali o i presunti criminali per stabilire i loro legami e scoprire i luoghi di frequentazione. Un sistematico meccanismo di osservazione nascosta per individuare le basi logistiche, i contatti principali e quelli secondari, i mezzi di cui avevano la disponibilità. E lo ha fatto con dei giovani ufficiali, portando una mentalità nuova all’interno dell’Arma”.
La realtà del Ros rispecchia ancora oggi questa filosofia. Lo si capisce entrando nel comando romano, dove si vedono uffici che ricordano una start-up con decine di persone che lavorano chine sui computer, elaborando intercettazioni telefoniche e satellitari, scardinando i codici le chat cifrate usate dai boss del nuovo millennio per comunicare e inseguendo le transazioni in criptovalute con cui si riciclano i guadagni del narcotraffico. “Dobbiamo sempre riuscire ad anticipare le loro mosse, selezionando le tecnologie e le professionalità che servono”, spiegava il generale Pasquale Angelosanto, che ha condotto la cattura di Messina Denaro.
In manette Messina Denaro, il boss che ha custodito i segreti di Riina

La carriera di Angelosanto rispecchia la doppia investitura del Ros. Da giovane ufficiale ha guidato la “catturandi” nella provincia di Napoli, mettendo le manette nel 1992 a Carmine Alfieri che all’epoca era considerato il numero uno della Camorra. Poi ha sempre alternato i compiti operativi nelle regioni del Sud allo sviluppo delle indagini tecniche, arrivando al vertice degli investigatori scientifici del Racis e dell’intera rete telematica dell’Arma. Tecnologia e infiltrazione sul campo, ingegneri che inventano microspie introvabili e marescialli che sanno mescolarsi alla vita della strada: i due volti che permettono al reparto di proseguire le inchieste sulle mafie vecchie e nuove. Perché il Ros ha sempre tratto linfa delle informazioni raccolte dalle rete territoriale dei carabinieri, le stazioni presenti ovunque e che riescono a cogliere i segnali spesso decisivi per la caccia ai ricercati.
“Partendo dalle intuizioni e dagli insegnamenti di Dalla Chiesa – ha ricordato più volte il generale Angelosanto, il Ros ha elaborato e continuamente adeguato alle mutate esigenze un avanzato metodo investigativo, basato sulla conoscenza approfondita del nemico e sull’adozione di soluzioni investigative tecnologicamente avanzate. Nel tempo, le mafie hanno modificato il loro agire mostrando estrema flessibilità sia per evitare misure repressive, sia per massimizzare i profitti”.

Matteo Messina Denaro ha fatto tesoro degli errori degli altri padrini: lo ha sottolineato il comandante del Ros, ricostruendo come il boss trapanese avesse deciso di interrompere i contatti dopo l’arresto di Bernardo Provenzano: “Tra i “pizzini” rinvenuti l’11 aprile 2006 in occasione della cattura di Provenzano ne furono sequestrati alcuni, risalenti agli anni 2004 e 2005, inviatigli da Messina Denaro nei quali si faceva riferimento, all’ex sindaco del Comune di Castelvetrano, il defunto Antonio Vaccarino. Questa scoperta suscitava preoccupazione nel latitante il quale scriveva a Vaccarino una lettera per comunicargli che, a loro tutela, i rapporti epistolari sarebbero cessati, a causa della scelta sconsiderata di Provenzano di conservare la corrispondenza”. Le parole usate da Messina Denaro sono illuminanti: “Laddove ci sono altri amici completamente inguaiati, non ci voleva tutto ciò, è una cosa assurda dovuta al menefreghismo di certe persone che tra l’altro non si potevano e dovevano permettere di comportarsi in siffatto modo”.
Infranta l’inviolabilità dei pizzini, persino figure anziane come Giuseppe Guttadauro, il medico al vertice della famiglia di Brancaccio, volevano impadronirsi di metodi più moderni come le chat di Telegram per mantenere i rapporti con il clan. Non sappiamo se anche Messina Denaro le abbia impiegate. Ma nonostante la sua ossessione per la sicurezza, alla fine ha commesso un passo falso: nella clinica oncologica di Palermo si è chiusa per sempre una stagione della storia di Cosa nostra. Adesso la partita è con i suoi eredi, che da decenni cercano di ridare forza alla mafia siciliana, facendola scomparire dall’attenzione del Paese.