Le regole la mia legge
Il sistema giudiziario lasciato allo sbando. Una cultura che rifiuta le norme. Ecco perché Colombo lascia la toga.
Un addio in silenzio, che dovrebbe diventare assordante per le coscienze degli italiani. Gherardo Colombo, il pm che indagò sulle coperture a Michele Sindona, che smascherò la loggia P2 di Licio Gelli, che condusse le indagini di Mani pulite e i processi a Silvio Berlusconi, lascia la magistratura. E per la prima volta spiega le ragioni del suo gesto. Ecco uno stralcio dell’intervista concessa a Enzo Biagi
Dottor Colombo, lei ha deciso di abbandonare la toga. Cosa c’è oggi nel suo animo, rimpianto, delusione, rabbia?
"Sicuramente non c’è rabbia. E anche per quel che riguarda rimpianti e delusione, io vedo questa mia decisione in una prospettiva un po’ diversa. Ormai sono 33 anni abbondanti che faccio il magistrato: ho sperimentato il funzionamento della giustizia. Ripeto ho maturato, ho sperimentato – anche perché contemporaneamente mi è successo di andare a parlare nelle scuole, nei circoli, nelle parrocchie, un po’ ovunque – il fatto che è difficile, difficilissimo far funzionare la macchina della giustizia senza che da parte dei cittadini ci sia una forte condivisione delle regole. E allora la mia decisione è dipesa da quello. Io credo che sia molto importante cercare, nei limiti del possibile, di comunicare con le persone, con i giovani soprattutto, quale sia il perché delle regole e quale sia la loro importanza".
Quanto ha contato la politica nella sua scelta?
"Mah. la politica può aver contato per quel che riguarda la mancanza di interventi forti sulle regole che servono a far funzionare meglio la giustizia, sugli strumenti che consentono a tutto l’apparato giudiziario io non parlo soltanto di magistrati, mi riferisco in genere a chi opera nella giustizia , sui mezzi che servono a far funzionare meglio questa macchina che vista sia dall’esterno che dall’interno, sembra così farraginosa e si muove con grande difficoltà. Sappiamo tutti che i processi durano tantissimo. Io credo anche che le garanzie non sempre siano distribuite in modo esatto, magari qualche volta ce ne sono troppe, ma in altri casi ce ne sono anche troppo poche. E allora io credo che, ma non solo alla politica, più in generale alle istituzioni, si possa addebitare il fatto che la giustizia non funziona bene".
Che destino attende il corrotto? Magari una bella carriera?
"Chi lo sa: dipende poi dalle situazioni personali. Il fatto è che se non esiste un atteggiamento complessivo della società, io direi, delle persone, delle regole, delle istituzioni verso i reati e quindi anche verso la corruzione. Se non esiste un atteggiamento di riprovazione, poi è più facile che il corrotto faccia magari una bella carriera".
Non c’è stato un momento o un episodio nel quale lei ha sentito che sembrava quasi che questo paese avesse smarrito il senso della legalità?
"Io credo che nel nostro paese la relazione con la legalità, con le regole che hanno come riferimento la Costituzione, che la relazione tra le persone e le regole sia una relazione incredibilmente sofferta. Come si potrebbe spiegare altrimenti che provvedimenti di clemenza, condono edilizio, condono fiscale e via dicendo, continuano a ripetersi, praticamente da quando siamo una repubblica. Questi provvedimenti richiedono, per essere di qualche utilità, che la devianza sia massiva, e quindi sono un indice di cattivo rapporto con le regole".
Una specie di carattere nazionale allora?
"No, io non credo che sia un carattere nazionale".
Un aspetto della vita italiana?
"Un aspetto della – molto molto tra virgolette – ‘cultura italiana’, del modo di intendere la vita e le relazioni. Forse noi apprezziamo di più la persona furba che elude le regole, piuttosto chi cerca di impegnarsi perché siano trattati gli altri allo stesso modo di come si è trattati".
Se un magistrato butta la spugna, il cittadino qualunque a chi si deve affidare?
"Io premetto che non butto la spugna. La mia non è una decisione di rinuncia, la mia è una decisione di impegno. Io credo che si possa, nei limiti ovviamente del possibile per ciascuno di noi, nei miei piccoli limiti, che si possa fare molto per la giustizia operando fuori dalle strutture istituzionali. Io credo molto nel modo di essere delle persone rispetto alle regole. Penso sia importante che ai ragazzi e non solo, sia proposta una riflessione su come riuscire a capire il significato delle regole, partendo da lontano, andando alla storia, provando a leggere Antigone e via dicendo. Quello che vorrei fare io nel futuro è cercare di comunicare, attraverso libri, riuscendo a parlare con i ragazzi, con le persone. Non è un gettare la spugna. Io credo che se i cittadini si impegnassero nel vivere la propria vita badando anche alle regole. Pensi a quante cose noi badiamo: stiamo molto attenti a come ci vestiamo: i ragazzi hanno tutto o quasi tutto griffato e via dicendo. Stiamo attenti, attentissimi al cibo; ci piace avere un’automobile che sia in consonanza e in sintonia con la nostra persona, ci piace farla vedere agli altri; ci piace mostrare una bella casa, eccetera. Ci preoccupiamo di una serie di aspetti della nostra vita. Non altrettanto facciamo con un punto di riferimento che secondo me è essenziale, che sono le regole".
Conta quindi più mostrare che essere?
"Tante volte sì. Io credo che si sia persa un po’ l’idea dell’essere. Si è dimenticato che esiste anche un essere, oltre all’apparire".
Quindici anni dopo, che bilancio si sente di fare dell’esperienza di Mani Pulite?
"Io constato che attraverso queste indagini si è scoperto molto. Credo si ricordi che prima del 17 di febbraio del 1992 si parlava di questo fenomeno della corruzione che era così esteso nel paese, però di fatti ce n’erano pochi, pochissimi. Da allora in avanti per quei tre, quattro, cinque anni in cui si è investigato sulla corruzione, di fatti ne sono emersi tanti, tantissimi: sono emersi episodi dettagliati, sono emerse le transazioni finanziarie. Io credo che sotto questo profilo l’informazione, la giusta informazione che è conseguenza naturale del processo pubblico, sia stata una cosa positiva. Per quel che riguarda i risultati all’interno del processo, beh, chissà quante sono le posizioni che sono finite in prescrizione, e quante sono le posizioni che sono finite con un proscioglimento perché sono cambiate le regole del processo, perché sono cambiate le regole sostanziali, perché una cosa che prima era reato adesso è un pochino meno reato e via dicendo. Allora sotto il profilo rigorosamente giudiziario, io credo che il risultato non sia stato quello che ci si aspettava".
Il potere non cerca di fare la giustizia a sua misura?
"Sì io credo che il potere cerchi di espandersi, magari anche al di là, qualche volta, delle possibilità che gli danno le regole. A proposito dell’esperienza di Mani Pulite, per quanto riguarda gli aspetti personali sicuramente è stato un periodo intenso, quindici anni, in cui sono successe tante cose. Ci sono stati dei dolori molto forti, per quel che riguarda me, non è mai indolore inserirsi così nella vita delle altre persone".
Cosa pensa dei colleghi che hanno scelto la politica?
"Guardi non penso proprio niente. Io credo che siccome le regole lo consentono è una cosa che si può fare. Io posso dirle però che per quel che riguarda me, io credo che sarebbe una bella cosa inserire un intervallo, un intervallo di una certa consistenza, fra l’esercizio dell’attività di giudice o di magistrato in generale e il dedicarsi all’attività politica. Primo. E secondo, non dovrebbe esistere la possibilità di tornare indietro. Questa è la regola che io mi prefiguro e per quel che riguarda invece le mie scelte personali, io credo che sia molto importante cercare di operare nella società. Ribadisco una cosa che riguarda me: una volta in cui si decide di non far più parte di un’istituzione, forse, il rivolgersi ad altri campi, completamente diversi, è una cosa che mi si addice di più".
(13 aprile 2007)