Cosa succede in città

di Tommaso Poli – l’Altra Molfetta di Luglio 2018

L’esplosione di un grosso ordigno fuori l’uscio dell’abitazione di Matteo d’Ingeo costituisce un episodio di inaudita gravità, che avrebbe dovuto scatenare una continuativa, sdegnata e accorata reazione popolare. Purtroppo, questa città riesce ormai a farsi scivolare addosso quasi tutto. Non è più capace di indignarsi, di reagire e di protestare utilmente. Lo ripetiamo da tempo. Anche quest’ultimo gravissimo episodio è stato metabolizzato (male) dalla comunità nel volgere di pochi giorni, se non di poche ore: qualche comunicato di solidarietà, qualche post sui social, qualche articoletto sui notiziari on line, un sit-in con poca gente sotto casa di d’Ingeo, insomma niente di serio e di duraturo. Tutta solidarietà e presa di coscienza virtuale, ovvero tanto fumo e niente arrosto. Insistiamo. L’episodio è allarmante, perché questa volta si è superato il segno. C’è dietro qualcosa di più, qualcuno di un livello più alto, perciò la vicenda è più preoccupante. Non si è trattato della “semplice” aggressione del bifolco di turno, che magari ti costringe alle cure del pronto soccorso. Non è stata la bravata di un dilettante allo sbaraglio.

No. E’ stato un gesto molto allarmante per le sue sfrontate modalità. Qualcuno (o più d’uno?) si è introdotto nel portone (forzandolo?), non ha temuto di trovare persone all’interno, né di essere ripreso da telecamere ormai alla portata di tutti, neppure si è preoccupato di arrecare danni ad altri inquilini, quindi ha collocato l’ordigno fuori la porta di casa di Matteo d’Ingeo e lo ha fatto esplodere, svegliando l’intero quartiere.

No, non può essere il gesto di un folle, di un bifolco o di uno sprovveduto dilettante allo sbaraglio. Questa volta c’è qualcosa di più. E di molto allarmante. Chi c’è dietro? E’ chiaro che sia qualcuno attinto dalle denunce di Matteo d’Ingeo. Sì, ma quali? Noi siamo tra quelli che abbiamo sempre offerto spazio a Matteo d’Ingeo, dandogli sempre atto del coraggio nel manifestare la sua coscienza civica… in luogo di quella della città, troppo spesso sonnacchiosa, latitante per deficit congenito o perché… tengo famiglia. Non sempre però abbiamo condiviso il suo integralismo (Matteo d’Ingeo è capace di piantare una grana al tabaccaio se non gli fa lo scontrino da 5 centesimi per una caramella!), ci siamo anche beccati, ma sempre gli abbiamo dato atto della sua buona fede e della sua onestà intellettuale. Alle volte d’Ingeo si convince di aver scoperto chissà quali macchinazioni ed invece sono solo coincidenze, magari odiose ma pur sempre coincidenze; la maggior parte delle volte, invece, individua e denuncia situazioni ambigue o illecite. Ma, al di là del merito delle sue denunce, d’Ingeo ha tutto il diritto di farle. 

Un diritto che deve essergli garantito. Se dovesse sbagliare… esistono solo i canali legali per controbattere (querele o azioni civili). Invero, più volte è stato querelato dai soggetti attinti dalle sue denunce o invettive ma ne è uscito sempre assolto se non archiviato. E pure in sede civile, le richieste milionarie di risarcimento danni sono state un boomerang per chi le aveva avanzate. In ogni caso Matteo d’Ingeo deve avere il sacrosanto diritto di manifestare il suo pensiero, senza subire minacce o ritorsioni. Ne ha subite parecchie negli anni di minacce e di aggressioni. Questa escalation deve essere fermata. La violenza deve sempre essere fermata. La nostra città ha visto ucciso un sindaco, che praticava la legalità, perché si era sottovalutata la prepotenza di chi era stato abbracciato dalla grande ipocrisia e marmellata istituzionale. Il 7 luglio del 1992 Gianni Carnicella venne trucidato solo per aver osato dire no, per essersi opposto ad una arroganza ormai endemica nel Palazzo e tra le clientele. E fu lasciato solo, mentre il suo assassino era sostenuto da troppe persone, a vari livelli.

Sono passati 26 anni ma si ricreano le condizioni per l’isolamento di chi fa del rispetto della legge la sua missione. E d’Ingeo, ironia della sorte, ha iniziato la sua crociata civica proprio all’indomani dell’assassinio del sindaco Carnicella. Non possiamo ripetere gli stessi errori. Non si può sottovalutare niente e nessuno. Lo si è fatto troppo spesso in questa città. A vari livelli…

Nei giorni scorsi ha suscitato scalpore l’arresto di un membro del consiglio direttivo della locale Associazione Antiracket, nell’ambito di una imponente operazione della DDA della Procura di Bari, perché accusato di essere affiliato ad un clan malavitoso barese. Qualche anno fa nella stessa associazione si era introdotto un finto magistrato… poi condannato. Insomma siamo messi male. Possibile che un’associazione che dovrebbe fare da filtro tra vittime e Stato si lasci penetrare così facilmente? In questa città si naviga troppo a vista, si galleggia e si sottovalutano troppe situazioni. Si bada ad apparire e non ad essere. Ad esempio, l’episodio del 7 settembre scorso, primo giorno di festa patronale, quando fu collocato un ordigno fuori la porta di un accorsatissimo locale della movida molfettese, è rimasto senza un epilogo. E quello fu un altro segnale allarmante, che però è stato metabolizzato dalla routine della quotidianità. In verità questa città sembra ingenua e inerme, possibile preda di chiunque. E le infiltrazioni della criminalità organizzata ne farebbero un sol boccone. 

Per questo siamo preoccupati per Matteo d’Ingeo e, citando la scrittrice britannica Evelyn Beatrice Hall: “Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo”. Noi continueremo a batterci perché la voce di Matteo d’Ingeo sia udita il più possibile.

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