“Chi fa inchieste diventa una persona pericolosa e da bloccare”. Lorusso chiede l’intervento del Parlamento

Il segretario nazionale della Fnsi, a margine del corso di formazione per giornalisti tenutosi a Palazzo Dogana, è intervenuto con parole nette sul caso del direttore della nostra testata, Francesco Pesante – fonte: Antonella Soccio – www.immediato.net

Raffaele Lorusso segretario nazionale della Federazione Nazionale Stampa Italiana a margine del corso di formazione per giornalisti tenutosi a Palazzo Dogana è intervenuto con parole nette sul caso del direttore della nostra testata, Francesco Pesante.

È una vicenda inquietante quella che ha colpito il collega Francesco Pesante – ha rimarcato – perché si è voluto colpire la sua attività di cronaca e lo si è fatto in maniera molto invasiva a nostro parere perché innanzitutto è stato contestato al collega un reato anche difficile da sostenere, quello di ricettazione. E quello è stato il modo per sequestrargli gli strumenti di lavoro e risalire così alla sue fonti e quindi bruciare il segreto professionale. Questa sta diventando purtroppo una pratica diffusa su tutto il territorio nazionale. Chi fa inchieste diventa una persona pericolosa, una persona da bloccare. E come la si blocca? Andando a sequestrargli i suoi strumenti di lavoro per risalire alle sue fonti. Succede sempre più spesso, è successo in un caso altrettanto eclatante con la trasmissione Report.

 

Il procuratore capo Vaccaro e la pm Pensa

Noi riteniamo che sia necessaria una riflessione e un intervento del Parlamento che sollecitiamo da tempo per rafforzare la tutela normativa del segreto professionale dei giornalisti, la tutela della segretezza delle fonti. Poter garantire la segretezza delle fonti dà la possibilità di avere una informazione libera per i cittadini. Colpire i giornalisti significa colpire il diritto dei cittadini ad essere informati e colpire la stessa democrazia”.

C’è diritto di cronaca nel rendere pubblici i documenti video di un penitenziario, luogo chiuso agli sguardi esterni per eccellenza? Lorusso è netto: “Esiste una giurisprudenza consolidata della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che stabilisce che quando c’è un interesse pubblico, quando c’è una notizia, non c’è segretezza che tenga. Anche il video di una telecamera carceraria può essere svelata, se quel video è entrato nella disponibilità del giornalista e c’è un oggettivo interesse pubblico nel conoscere cosa c’è in quel video, il giornalista fa bene a pubblicarlo”.

 

Telefono sequestrato, Pesante: “Nessun collega subisca più pressioni. Peccato per il silenzio della politica”


“Noi cronisti abbiamo il dovere di tutelare le nostre fonti e rispettare il segreto professionale”. E l’avvocato Vaira traccia un vademecum per i giornalisti – fonte: Saverio Serlenga – www.immediato.net

“L’episodio mi ha profondamente turbato ma oggi sono più che mai determinato a continuare il mio lavoro alla ricerca della verità, in un territorio martoriato dalla mafia”. Così Francesco Pesante, direttore de l’Immediato ha commentato i due giorni “surreali” vissuti a Foggia dopo il sequestro del cellulare. Il giornalista è accusato di ricettazione per aver pubblicato il video dell’omicidio di Alessandro Scrocco, ucciso davanti al carcere dauno lo scorso 17 maggio. Il filmato è stato pubblicato da tutte le maggiori testate nazionali e locali. La Procura ha aperto un procedimento nei confronti di Pesante e di due agenti della Polizia di Stato – ignoti al cronista – accusati di rivelazione del segreto d’ufficio.

“Sono stato contattato dalla squadra mobile per sommarie informazioni in merito al video e mi sono ritrovato con il cellulare sequestrato e un’accusa di ricettazione. Il cellulare mi è stato restituito solo stamattina, dopo due giorni surreali. Una situazione kafkiana. Forse la pm non ha tenuto conto che noi giornalisti abbiamo il dovere di tutelare le nostre fonti e rispettare il segreto professionale”. 

Poi conclude: “Ringrazio i colleghi e il sindacato per la solidarietà. Spiace constatare il silenzio della politica, immagino dovuto a mere questioni di opportunità. Spero che questa mia disavventura possa servire affinché altri colleghi non si trovino nella stessa situazione. Nessun altro giornalista deve subire pressioni per aver rispettato le fonti”.

La pm Rosa Pensa e il procuratore capo Ludovico Vaccaro

Il vademecum per i giornalisti

Abbiamo chiesto all’avvocato Michele Vaira, difensore di Pesante e grande esperto della materia, il suo punto di vista sulla vicenda e, più in generale, sui diritti e i doveri processuali dei giornalisti.
 
L’indagine nasce dalla divulgazione del video di un omicidio ripreso dalle telecamere di sorveglianza del carcere di Foggia.
Nessun rimprovero, sul punto, può addebitarsi al giornalista che, in quanto tale, ha come unica finalità quella di informare su fatti di interesse pubblico. E un omicidio, ripreso in diretta, è un esempio lampante di ciò che può e deve essere pubblicato. A qualsiasi costo.
Se un giornalista avesse la disponibilità di una notizia tale da far scatenare la terza guerra mondiale, avrebbe il dovere morale di pubblicarla. La sua etica non coincide con quella di chi persegue reati.
Non c’è dubbio che tale diffusione abbia seriamente nuociuto all’indagine, e le ragioni sono talmente evidenti da non doverle spiegare.
Ed è per questo che la PM titolare sta cercando con grande tenacia di accertarne le responsabilità.
Il fine, però, non giustifica i mezzi, che a mio parere sono radicalmente in contrasto con il diritto all’informazione, che è tutelato ai massimi livelli, anche di rango sovranazionale.
Il reato che si contesta al giornalista è quello di “ricettazione” (648 c.p., che punisce chi riceve cose oggetto di un reato): la diffusione del video è stata qualificata quale rivelazione di segreti di ufficio, che costituisce il presupposto della ricettazione.
In questo caso, il direttore della testata è stato convocato, pur essendo già indagato, quale mera persona informata sui fatti, per obbligarlo a rispondere secondo verità (l’indagato, come noto, può avvalersi dell’assistenza di un difensore e della facoltà di non rispondere).
Avendo egli opposto, comunque, il suo dovere di tutela delle fonti, è stato notificato il decreto di sequestro dello smartphone.
Tutto ciò in violazione, a mio parere, di diverse norme sostanziali e processuali, così come costantemente interpretate dalla giurisprudenza.
Il diritto di cronaca è una esimente che rende non punibile anche il reato di ricettazione, pertanto l’indagine nei confronti del giornalista non avrebbe dovuto nemmeno essere iscritta.
Il giornalista, poi, a cui era stato paventato il sequestro del telefono, ha anche mostrato di aver ricevuto il video su una chat whatsapp dalla quale si evinceva il badge “inoltrato molte volte”.
La sua unica colpa è stata quella di essere stato il primo operatore dell’informazione a renderla pubblica (anche se in realtà era ormai virale).
Prima ancora che in contrasto con le norme a tutela dei giornalisti, il sequestro è apparso decisamente ultroneo.
Il giorno successivo, va anche precisato, la Procura di Foggia, accogliendo la mia richiesta, ha limitato l’accertamento sul telefono del giornalista alla sola messaggistica relativa alla ricezione del video, restituendo immediatamente il telefono e disponendo la distruzione dei dati raccolti.
 
1. In caso di convocazione in procura o presso la polizia giudiziaria: è sempre opportuno pretendere la convocazione scritta, che contenga i motivi della convocazione e la specificazione sulle modalità di ascolto (in qualità di indagato o persona informata sui fatti). Rifiutare, in ogni caso, convocazioni “telefoniche”.
Alle domande sulle fonti il giornalista (sia professionista che pubblicista) può sempre opporre il segreto professionale, ai sensi dell’art. 200 c.p.p. (analogamente agli avvocati o i sacerdoti e altre categorie professionali).
Eventuali pressioni o “minacce” di denunce di favoreggiamento non devono in alcun modo intimorire: la giurisprudenza sulla tutela delle fonti (specialmente delle corti superiori e della CEDU) è assolutamente granitica.
Se, ascoltati in qualità di testimoni, si ha anche solo l’impressione che una domanda possa comportare una risposta autoincriminatoria, è opportuno astenersi dalla risposta, chiedendo l’intervento di un avvocato.
Nel caso in cui, durante l’esame, si passa dalla qualità di testimoni a quella di indagati, la PG interrompe il verbale, notificando l’informazione di garanzia. In quel caso, è fondamentale interrompere qualsiasi tipo di conversazione, anche informale, e consultarsi con il proprio avvocato di fiducia. Se non è immediatamente reperibile o quantomeno raggiungibile telefonicamente, interrompere la sessione e chiedere un aggiornamento dell’incontro.
In ogni caso, è fortemente sconsigliato firmare verbali di dichiarazioni “spontanee”.
 
2. In caso di testimonianza in Tribunale: solo il Giudice (e non il PM o la PG), in particolari circostanze, rigidamente previste dalla giurisprudenza, può obbligare il giornalista a rivelare la fonte della notizia.
È opportuno, in tal caso, consultarsi previamente con il proprio avvocato di fiducia.
 
3. In caso di ricerca di documenti presso le redazioni o sequestro del cellulare: Le perquisizioni presso le redazioni sono altamente stigmatizzate nelle pronunce della CEDU, “le perquisizioni compromettono il lavoro del reporter e quindi il suo diritto alla libertà di espressione e anche quello di ogni individuo a ricevere informazioni”.
 
Nel caso in cui l’autorità inquirente chieda l’esibizione al giornalista di atti o documenti o disponga il sequestro di materiale informatico o telematico (come un pc o uno smartphone) è possibile dichiarare per iscritto (eventualmente a mezzo pec) che, ai sensi dell’art. 256 c.p.p., i dati di cui si chiede l’acquisizione o il contenuto dei dispositivi sono coperti dal segreto professionale.

Utilizzando il sito o eseguendo lo scroll della pagina accetti l'utilizzo dei cookie della piattaforma. Maggiori Informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo. Altervista Advertising (Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.) Altervista Advertising è un servizio di advertising fornito da Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Dati Personali raccolti: Cookie e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio. Luogo del trattamento: Italia – Privacy Policy: https://www.iubenda.com/privacy-policy/8258859 Altervista Platform (Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.) Altervista Platform è una piattaforma fornita da Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. che consente al Titolare di sviluppare, far funzionare ed ospitare questa Applicazione. Dati Personali raccolti: Cookie e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio. Luogo del trattamento: Italia – Privacy Policy: https://www.iubenda.com/privacy-policy/8258716

Chiudi