Cassiere della mafia e contabile di Totò Riina con le mani sulla Puglia

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Oggi si fa chiamare Robert von Palace Kolbatschenko, anche se nelle sue vene non scorre una goccia di sangue zarista. I documenti sudafricani, in regola, lo identificano così. Per gli italiani è Vito Roberto Palazzolo. Per gli amici siciliani, sarà sempre «Vituzzu l’africano».

Comunque si faccia chiamare, l’uomo bloccato all’aeroporto di Bangkok è considerato la mente finanziaria di Cosa Nostra. Ha le mani d’oro, Palazzolo. A lui vengono affidati – secondo gli investigatori – i tesori di Bernardo Provenzano e Totò Riina. L’abilità nel riciclaggio del danaro di von Palace Kolatschenko gli è riconosciuta da tutti. Compreso Giovanni Falcone che dall’inizio degli anni Ottanta lo insegue per mezza Europa. Sono i tempi della Pizza connection, il mega traffico di eroina dalla Sicilia a New York. Gli investigatori accertano un riciclaggio di 40 milioni di dollari.

Il magistrato ucciso dalla mafia capisce sin da allora il ruolo strategico di questo personaggio anomalo, essenziale nelle dinamiche economiche e finanziarie dei corleonesi. Nel 2006 i pm Domenico Gozzo e Gaetano Paci riescono a ottenere la condanna del manager originario di Terrasini – 65 anni a fine luglio – a nove anni di carcere, per concorso esterno in associazione mafiosa, ma von Kolbatschenko rimane lontanissimo dalla Sicilia, nella sua dimora dorata di Franschhoek, a Città del Capo, garantito da un capillare e potente sistema di protezione.

Nel 2010 l’Alta corte del Sudafrica nega l’estradizione chiesta dall’Italia, nonostante sulla sua testa pesi quella condanna per associazione mafiosa divenuta definitiva in Cassazione nel 2009. Eppure ben otto pentiti accusano il manager di fare parte della famiglia di Partinico. Ultimo, in ordine di tempo, arriva Antonino Giuffrè che ha parlato degli investimenti che Bernardo Provenzano avrebbe fatto tramite Palazzolo, il tenutario delle chiavi del tesoro dei padrini di Cosa nostra. La sentenza dell’Alta corte sudafricana rafforza ulteriormente il carisma e l’aura di imprendibilità di Palazzolo (per otto volte l’Italia cerca inutilmente di estradarlo), ricercato anche dall’Fbi.

Ma Vito Palazzolo spunta anche nell’inchiesta della Dda di Bari sul traffico internazionale di sigarette di contrabbando tra Puglia, Svizzera e Montenegro. Fine anni Novanta. Il canale d’Otranto è attraversato in lungo e in largo dagli scafi blu zeppi di sigarette, armi e droga. Da Bar a Bari in due ore. Il procuratore Giuseppe Scelsi si reca al di là delle Alpi per interrogare il ticinese Franco Della Torre. Un personaggio già coinvolto nella Pizza connection. È lui uno dei sette uomini d’oro della cupola internazionale che gestisce il business, titolare di una licenza di importazione nel Montenegro di 100mila casse di «bionde» al mese, l’equivalente di mille tonnellate. L’ipotesi degli investigatori è che il governo montenegrino, attraverso la Zeta Trans, riscuota una «tassa» su ogni cassa di sigarette trasportata dalla criminalità organizzata. Cinquantacinque dollari poi caricati sul prezzo della cassa venduta dai contrabbandieri. La merce attraversa l’Adriatico, sbarca in Puglia e poi è smistata in Europa. Tra Bar e Kotor vivono 200 italiani, molti ricercati. Attraccati alle banchine montenegrine dondolano 60 «missili del mare» del tipo Supercorbelli e Supertermoli da 18 metri, fermi dietro le navi da guerra della Marina serba.

Una parte del denaro legato a queste operazioni transita attraverso una società finanziaria elvetica di Lugano, la Gekap Sa, ex Traex, specializzata in gestione patrimoniale. E la Traex è amministrata da Vito Roberto Palazzolo, il cassiere di Cosa nostra.

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