
La corte di Appello di Lecce ha deciso sulla richiesta della famiglia del fondatore delle ex Ccr, morto nel gennaio 2021 a Santo Domingo – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it
Volevano eliminare la parola “mafia” dalle loro vite, dopo che per anni sono stati additati come figli e nipoti del re della sanità privata barese, che pur di fare affari sarebbe sceso a patti persino con i boss. Daniela e Alceste Cavallari sono i figli maggiori di Francesco, detto “Cicci”, il fondatore delle Ccr (Case di cura riunite), morto all’età di 83 anni, nel gennaio 2021 a Santo Domingo. Hanno chiesto e ottenuto dalla Corte d’appello di Lecce la revisione del processo in cui il padre patteggiò la pena di un anno e dieci mesi di reclusione per associazione mafiosa, corruzione e reati fiscali, dopo che gli altri co-imputati sono stati tutti assolti.
La decisione è arrivata a tarda sera e ha revocato la sentenza emessa dal gup di Bari nel ‘95 e divenuta definitiva nel ‘96, assolvendo Cavallari dal capo A) ovvero l’accusa di associazione mafiosa e rideterminando la pena (per i restanti reati) in un anno e quattro mesi. Una decisione che ha suscitato lacrime e commozione nella famiglia del manager, che tanto l’aveva sognata e non è riuscito ad ottenerla quando era in vita.
Il primo segnale che lasciava ben sperare i figli Daniela e Alceste è arrivato nel pomeriggio di ieri dalla Procura generale salentina, che ha detto sì alla revisione in relazione alla contestazione di associazione mafiosa. I giudici ne hanno discusso per ore, dopo aver valutato le richieste degli avvocati Gaetano Sassanelli e Vittorio Manes per Daniela Cavallari e Mario Malcangi e Valeria Volpicella per Alcestei. Il terzo figlio di “Cicci”, Marco, non ha chiesto la revisione ma è chiaro che tutto quello che conseguirebbe in termini legali – in caso di accoglimento – riguarderebbe anche lui.

Gli eredi, infatti, possono ora avviare un’altra battaglia legale per la restituzione di almeno una parte di quei beni per 350 miliardi di lire che furono sequestrati e poi confiscati, magari chiedendo un risarcimento allo Stato, visto che alcuni sono irrecuperabili. Di certo, il futuro di questa storia inizia dalla decisione della Corte d’appello di Lecce. La stessa che nel 2013 aveva già rigettato una prima istanza di revisione, ritenendo che nonostante le assoluzioni della maggior parte dei co-imputati di Cavallari, in realtà l’esistenza dell’associazione mafiosa non era stata esclusa ma solo «non sufficientemente provata».
Successivamente Cavallari ha fatto appello e la Cassazione ha rinviato di nuovo alla Corte d’appello, che – nel 2016 – ha ribadito il no perché non erano state ancora definite le posizioni del boss di Japigia, Savinuccio Parisi, e del manager delle Ccr Paolo Biallo (deceduto nel 2019). Cosa che accadde nel maggio 2021, quando per “Cicci” era già troppo tardi, considerato che la morte lo aveva colto nel suo buen ritiro a gennaio dello stesso anno.

«Nella vita ho fatto tante cose, nel bene e nel male – soleva ripetere – ma non ho mai stretto accordi con i mafiosi». L’insussistenza di quegli accordi oggi è certificata da sentenze passate in giudicato e anche Francesco Cavallari è stato assolto dall’accusa di avere stretto patti con la mafia. “Un sistema giudiziario che sovverte il principio della innocenza è un sistema che si condanna all’infamia – ha commentato l’avvocato Sassanelli – Come difensori oggi c’è molto poco di cui esser contenti perché si è certificata la più grossa ingiustizia consumata nel nostro distretto di corte di appello, senza che la vittima di questa ingiustizia abbia potuto assistere al suo riscatto. Il dottor Cavallari è stato lasciato morire in esilio come il peggiore dei mafiosi ed oggi invece è stato finalmente ufficializzato quel che in realtà tutti sapevano e cioè che mafioso non lo è mai stato. Se quella è stata l’operazione speranza questa è stata l’operazione verità”.