Bonifiche, lo schiaffo del Tar al ministero: “La valle del Sacco non è problema solo locale”

Bonifiche, lo schiaffo del Tar al ministero:<br /><br />
'La valle del Sacco non è problema solo locale' Alcune mucche morte nei pressi del rio Santa Maria (foto del 2005)

 

DI PAOLO FANTAUZZI – espresso.repubblica.it

Non solo la Terra dei fuochi, adesso anche la Valle del Sacco. Un altro pezzo della “strategia della tranquillità” cade dal quadro rassicurante dipinto dal dicastero dell’Ambiente in tema di bonifiche. E sotto processo, letteralmente, finisce il decreto ministeriale che a inizio 2013 ha declassificato 18 Sin su 57 (i Siti di interesse nazionale, ovvero i più inquinati) trasformandoli in Sir e affidandone la competenza alle regioni. « Non hanno le caratteristiche per essere classificati di interesse nazionale » la motivazione fornita dal ministero, all’epoca guidato da Corrado Clini. Affermazione che lasciava intendere che l’inquinamento e la pericolosità per la salute non fossero poi così gravi.

Nell’elenco figurava anche la Terra dei fuochi (parte del più ampio Sin “Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano”), in cui la situazione si sarebbe rivelata poi talmente compromessa da spingere il governo Letta, dopo meno di un anno, ad adottare un apposito decreto legge .

Adesso ad assestare un duro colpo al provvedimento è il Tar del Lazio, che ha accolto il ricorso della Regione contro la decisione di declassificare anche la Valle del Sacco: un’area che si estende per circa 60 chilometri in provincia di Frosinone e contaminata principalmente dal micidiale beta-esaclorocicloesano, un sottoprodotto degli erbicidi prodotti dalle aziende chimiche di Colleferro finito nelle acque del fiume Sacco .

Una decisione che Legambiente e numerose altre associazioni e comitati ecologisti avevano ritenuto assolutamente inspiegabile e ingiustificata. E che adesso trova conferma nel Tribunale amministrativo, che stronca con parole durissime la ratio del decreto: “Il ragionamento del Ministero, ad avviso di questo Collegio, è erroneo in radice” si legge nella sentenza depositata lo scorso 16 luglio, perché “la norma applicata sembra ampliare (piuttosto che restringere) le fattispecie dei territori potenzialmente rientranti nell’ambito dei siti di interesse nazionale”.

Perché un’area continuasse a essere classificata come Sin il ministero aveva infatti stilato una lista di sei requisiti. Alla Valle del Sacco ne mancava uno: la presenza, attualmente o in passato, di raffinerie, impianti chimici integrati o acciaierie. Ma per i giudici del Tar Lazio “il testo normativo non autorizza una lettura tale da indurre a considerare, per la qualificazione di Sin, la presenza di tutte le circostanze” e la lista non può essere considerata “un’elencazione di requisiti che ogni Sin deve possedere”.

Insomma, più di ogni altra considerazione deve contare la pericolosità degli inquinanti presenti, l’impatto sull’ambiente, l’estensione dell’area interessata e il rischio sanitario per la popolazione. Fattori di rischio rispetto ai quali quella fetta di Ciociaria non fa eccezione.

«È una grande vittoria soprattutto giuridica» commenta Francesco Bearzi, coordinatore per la provincia di Frosinone della Rete per la tutela del Valle del Sacco . «Ma tutto questo non porterà necessariamente a un vantaggio, perché ora il ministero dovrà svolgere con competenza quel lavoro che finora non ha eseguito».

Già, perché come ha certificato lo stesso dicastero , sulle bonifiche poco o nulla finora è stato fatto. Al massimo ci si limita ad alzare per decreto i limiti delle sostanze pericolose, come ha denunciato l’Espresso . Intanto, mentre siamo in ritardo di vent’anni sulla tabella di marcia, i veleni restano e le persone continuano ad ammalarsi e morire.

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