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ATTO CAMERA
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/04100
Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 213 del 14/09/2009
Firmatari
Primo firmatario: ZAZZERA PIERFELICE
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 14/09/2009
Destinatari
Ministero destinatario:
- PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
- MINISTERO DELLA DIFESA
- MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
- MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI
Attuale delegato a rispondere: PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI delegato in data 14/09/2009
Stato iter:
IN CORSO
Interrogazione a risposta scritta 4-04100
lunedì 14 settembre 2009, seduta n.213
ZAZZERA. –
– Per sapere – premesso che:
il 2 dicembre 1943 la Luftwaffe bombardò nel porto di Bari 30 navi inglesi e americane cariche di sostanze tossiche, irritanti e asfissianti, già proibite dalla Convenzione di Ginevra del 1925;
molte delle navi da guerra furono danneggiate e affondate disseminando il carico nel mare, oltre mille persone persero la vita e altrettante rimasero contaminate o ustionate dalle sostanze nocive;
esplose anche la nave John Harvey, stanziata nel porto di Bari, il cui carico era costituito anche da bombe di iprite;
in virtù di un accordo tra il Ministero della marina mercantile e gli alleati, i residui bellici sarebbero stati affondati ad oltre 20 miglia dalla costa, a circa 460 metri di profondità;
dal giorno di quel tragico evento tra i pescatori di Molfetta si sono verificati numerosi casi di intossicazioni, di cui alcuni anche mortali;
dalle indagini (programma di ricerca armi chimiche affondate e benthos – ACAB) espletate qualche anno fa, è stata rilevata la presenza nelle acque del basso adriatico di sostanze rilasciate dagli ordigni bellici particolarmente dannose e rischiose per gli ecosistemi marini e per le attività di pesca;
in particolare, al largo di Molfetta fu accertata la presenza di 11 ordigni all'iprite facenti presumibilmente parte del carico della nave John Harvey, ma oltre a tale sostanza sotto i fondali giacciono lewsite, adamsite, acido cianidrico, fosgene, disfogene, bombe a grappoli del tipo blu 27 e proiettili all'uranio impoverito;
analisi di laboratorio hanno confermato che il pesce dell'Adriatico è gravemente inquinato, per questo le attività di pesca e di commercializzazione sarebbero state conseguentemente ridotte per cautela sanitaria;
l'11 luglio del 1993 il peschereccio «Francesco Padre» rischiò di affondare a causa di un sommergibile degli Stati Uniti d'America a propulsione nucleare che rimorchiò l'imbarcazione per diverse miglia;
come riportato in un articolo su La Stampa del 4 novembre 2008, «Il Governo Usa indennizzò il comandante del Francesco Padre con 9.554 dollari, a condizione di non rivelare nulla. Ai familiari delle vittime il nostro Governo aveva elargito sulla carta (decreto 1105 del 7 dicembre 1994) 50 milioni a famiglia; tuttavia la somma non è stata mai erogata»;
un anno dopo, e precisamente il 4 novembre 1994, si verificò un'ennesima tragedia al largo del Montenegro, quando il «Francesco Padre» affondò con tutto il suo equipaggio formato da pescatori di Molfetta;
la magistratura chiuse il caso a causa del sospetto che l'imbarcazione trasportasse un carico di esplosivo, ma analizzando le immagini registrate da un robot, stanziato a circa 250 metri di profondità, la marineria di Molfetta avanzò l'ipotesi che l'esplosione della nave fosse stata causata da una mina incagliatasi nelle reti del peschereccio;
Francesco Mastropierro, ingegnere navale e componente della commissione d'inchiesta della Direzione per i sinistri marittimi di Bari, non sembra avere dubbi sulle dinamiche dell'evento, dichiarando: «L'affondamento del Francesco Padre è stata una conseguenza diretta della deflagrazione di un ordigno esplosivo che si è venuto a trovare in corrispondenza della rete appena recuperata dal fondo»;
l'ingegnere Vito Alfieri Fontana, consulente del magistrato, concorderebbe precisando: «L'esplosione è avvenuta all'esterno dell'imbarcazione, diffondendosi all'interno dello scafo»;
risulterebbe che nella zona in cui si trovava la Francesco Padre, vi era in corso l'operazione Nato Sharp Guard;
quell'area infatti è uno spazio di rilascio di bombe della Nato dal 1992, e al momento dell'evento si trovavano sul posto diverse unità da guerra, di cui alcune ancora non identificate;
ciononostante risulta che la magistratura non abbia mai esaminato i tracciati radar che controllavano l'Adriatico, che non furono mai chieste le fotografie satellitari o i rapporti delle unità da combattimento al Pentagono e che nessuno mai abbia richiesto copia di registrazioni radio o telefoniche per far luce sulla tragedia;
non furono identificati i testimoni oculari, ovvero i piloti a bordo del P3c Orion, né fu interrogato il comandante della fregata spagnola Baleares;
il caso è stato archiviato dalla Procura della Repubblica di Trani nel 1997;
nel 2002 il direttore marittimo Nicola Armando Romito avrebbe dichiarato che «il giudice delle indagini preliminari ha disposto la confisca e la distruzione dei corpi di reato», senza far pervenire alcuna comunicazione ai familiari dei marinai di Molfetta rimasti uccisi -:
di quali informazioni disponga il Governo in ordine alla vicenda e quali iniziative intenda adottare per fare piena luce sull'accaduto, eventualmente anche intervenendo in sede Nato affinché siano acquisiti ulteriori elementi conoscitivi;
se corrisponda al vero che l'indennizzo di 50 milioni a famiglia da parte del Governo ai familiari delle vittime stabilito nel decreto n. 1105 del 7 dicembre 1994 non sia stato effettivamente corrisposto, e in caso affermativo, quali iniziative si ritenga opportuno adottare;
quali attività di recupero e bonifica nel mare Adriatico da ordigni e materiali bellici il Governo intenda intraprendere, oltre a quelle già effettuate. (4-04100)