di Lorenzo Pisani – molfettalive.it
Il Coordinamento nazionale bonifica armi chimiche potrà contare sul supporto della direzione nazionale di Legambiente. L’adesione è stata resa nota lo scorso sabato a Roma.
E presto, una nuova interrogazione parlamentare (alla prima, dopo quattro solleciti, non è stata ancora data risposta) chiederà al governo la verità sullo stoccaggio nel territorio nazionale delle armi chimiche. Difficile chiamarli residuati bellici se stanno ancora diffondendo il loro carico mortale: lo sostengono i comitati delle città che hanno dato vita al coordinamento: Molfetta, Pesaro, Lago di Vico, Colleferro, Melegnano e Ischia.
Il loro sito raccoglierà documenti e testimonianze dell’Italia dei veleni di stato, dal titolo del libro inchiesta del caporedattore dell’Espresso, Gianluca Di Feo, che l’anno scorso cominciò a rivelare questa scomoda verità. Sepolta negli archivi, nel terreno. Nel Tirreno, come in Adriatico.
«Non era mai accaduto – commenta Matteo d’Ingeo del Liberatorio Politico, tra i promotori del coordinamento – che nascesse un organismo simile a livello nazionale e che mettesse in rete le conoscenze delle varie realtà interessate alla presenza di ordigni bellici a caricamento chimico e le richieste di bonifica e monitoraggio degli stessi territori».
C’è anche il mare che bagna le nostre coste, tra questi magazzini, come dimostrano gli ordigni recuperati nella bonifica. Bombe a caricamento speciale accusate del rilascio, ancora oggi, delle loro sostanze venefiche.
E l’impressione che stavolta non si tratti della “solita” emergenza nostrana lo dimostra il continuo parlarne. Dopo le telecamere di Tg2 Dossier, anche la Bbc ha deciso di affrontare il problema. L’ha fatto nel primo numero di aprile di History, mensile del network televisivo britannico.
Le pagine con cui History ha scelto di debuttare nelle edicole mettono in relazione armi chimiche e chemioterapia. La motivazione è presto detta: dopo il bombardamento del porto di Bari del 2 dicembre 1943 (cui si riferiscono le immagini), ufficiali medici inglesi riscontrarono nelle vittime il blocco della replicazione di alcune cellule del sangue, di norma prodotte rapidamente e in continuazione dell’organismo. La stessa modalità di moltiplicazione delle cellule cancerose.
Alle 19.25 la Luftwaffe bombardò il porto del capoluogo. Tra le navi distrutte nella cosiddetta "Pearl Harbour italiana", il mercantile John Harvey con il suo carico di 15mila bombe chimiche. Ciascuna di esse, racconta History, conteneva 30 chili di iprite, gas aggressivo e urticante messo al bando dopo la Prima Guerra Mondiale. La città fu coperta da una coltre avvelenata, ma sulla sua natura calò il silenzio.
In seguito, fu sempre l’Adriatico il luogo scelto dagli Alleati per lo stoccaggio degli ordigni chimici. Nella sola Molfetta – riporta il mensile Bbc – furono scaricati 20mila bombe. Centinaia sono i casi documentati di pescatori intossicati a partire dagli anni ’50: anche loro adesso chiedono verità.
Le immagini, pubblicate sul sito web di Repubblica e fornite da Pasquale Bruno Trizio dell'Associazione marinai d'Italia, documentano il bombardamento del 2 dicembre 1943