Bari, si pente il braccio destro del capoclan Palermiti: a Japigia si trema

Dagli omicidi che hanno insanguinato il quartiere Japigia tra gennaio e aprile 2017 (Barbieri, Gelao e De Santis), ai traffici illeciti nel quartiere; dalle gerarchie interne ai Parisi-Palemiti, alle ambizioni di gruppi agguerriti come quello guidato da Antonio Busco, caratterizzato da una rapida ascesa e da una ripida discesa. Domenico Milella, 40 anni, detto «Mimm U’ Gnor» può raccontare moltissimo alla Direzione distrettuale antimafia. Colui che viene considerato il braccio destro del boss Eugenio Palermiti si è pentito. E la criminalità organizzata a Japigia trema. La circostanza è emersa ieri nel corso del processo che vede Milella accusato di detenzione di armi con l’aggravante mafiosa, insieme con il 33enne Michele Ruggieri, entrambi ritenuti affiliati al clan Palermiti-Parisi.

Il processo sull’arsenale – Ai due è contestato di essere i proprietari di un arsenale scoperto circa due anni fa nel quartiere Japigia, i cui custodi furono all’epoca arrestati in flagranza. Quel ritrovamento di armi avvenne nell’ambito delle indagini della Dda di Bari dopo i tre omicidi avvenuti nel rione in poco più di un mese, all’inizio del 2017, che sarebbero legati alla guerra tra clan per il controllo dello spaccio di droga e in alcuni dei quali Milella, definito negli atti giudiziari «proconsole dei Palermiti», sarebbe coinvolto come mandante. Il pm antimafia Federico Perrone Capano ha rappresentato la circostanza in aula. Il processo è stato aggiornato a marzo per consentire alla pubblica accusa di depositare un primo verbale riassuntivo anche su questo episodio.

Un personaggio di primo piano – Milella è considerato una figura di primissimo piano nel panorama della criminalità non solo nel quartiere, lì dove i pentiti si contano sulle dita di una mano: Pietro Losurdo, Matteo Tulimiero, Vito Tritta e poco altro. I famigliari di Milella si trovano in una località protetta. Hanno lasciato in tutta fretta Bari sotto il coordinamento del Servizio centrale di protezione. E ora Milella, definito nelle carte giudiziarie, il «proconsole dei Palermiti», è pronto a vuotare il sacco su tutto, tanto, ciò che sa. Arrestato lo scorso ottobre insieme con altri 25 presunti affiliati al clan Parisi-Palermiti, è accusato di essere il mandante dell’omicidio De Santis che sarebbe stato la vendetta per l’agguato costato la vita a Giuseppe Gelao. Quell’inchiesta, infatti, fotografò plasticamente le dinamiche in atto nel quartiere Japigia ma anche nel vicino rione Madonnella. A scatenare la «guerra» sarebbe stata la volontà di Busco, ritenuto un «figlioccio» del boss Savino Parisi, di rendersi autonomo nel mercato del traffico e dello spaccio di droga. Una scelta non condivisa da chi in quel momento rappresentava in un certo senso l’ala conservatrice del clan ovvero, appunto Domenico Milella, braccio destro di Eugenio Palermiti. E dalle intercettazioni emerge come del «problema Busco» viene investito anche il boss Savino.

La faida di Japigia – I contrasti tra Busco e Milella finiscono presto nel sangue attraverso l’eliminazione fisica di appartenenti ai rispettivi gruppi. Una faida, insomma, caratterizzata anche da «stese» plateali, ovvero colpi di pistola e kalashnikov esplosi in aria per terrorizzare il nemico e per fare capire al quartiere terrorizzato chi comanda. «E che è, Gomorra, Mimmo!», si dicono alcuni dei protagonisti di questa storia intercettati dagli investigatori. Con tanto di «taglie» come se le strade del quartiere Japigia fossero state quelle polverose del Far West. La contropartita per eliminare il nemico? Soldi, ovviamente, ma anche ingenti forniture di droga, praticamente denaro contante in certi ambienti. Le carte dell’inchiesta coordinata dai pm antimafia Ettore Cardinali, Federico Perrone Capano e Fabio Buquicchio, condotta dagli agenti della Squadra Mobile della Questura di Bari e sfociata nei 25 arresti dello scorso autunno svelano incredibili retroscena.

La lunga lista nera – La sensazione è che il blitz eseguito dalla Polizia il 25 ottobre scorso possa avere interrotto la lunga scia di sangue che nel 2017 ha sconvolto il quartiere. Milella, in quel periodo, avrebbe messo «una taglia da mezzo milione di euro» sulla testa di Busco, in piena ascesa criminale. L’omicidio sfumò perché tutti i protagonisti dell’agguato furono arrestati in un blitz. Il «botta e risposta» definito dal giudice che ha disposto gli arresti «capillare e reiterata azione di pulizia etnica del territorio», avrebbe potuto avere ulteriori strascichi se non fossero scattati gli arresti. Dalle carte emerge come Antonio Busco, Davide Monti (sì l’ex «bambino con la pistola») e Domenico Milella, erano nel mirino. E traspare il clima di paura figlio della vendetta, una costante in questa vicenda.

«Vattene da casa» – Tra le accuse ipotizzate nei confronti di Milella, c’è un episodio che la dice lunga sulla capacità intimidatoria del pentito. Milella in concorso con un altro indagato, avrebbe attraverso minacce «convinto» un parente di un componente del gruppo avversario a lasciare la propria abitazione: «Svuota la casa, ti do dieci giorni di tempo».

Le stese e la paura nel quartiere – Trecento vedette con radiotrasmittenti e binocoli sui tetti del quartiere, un dispositivo bellico schierato per segnalare anche la benché minima presenza di qualcuno vicino al nemico. Stando al racconto dei pentiti, ad esempio, quando viene ucciso Giuseppe Gelao, era il 6 marzo 2017, per l’accusa appartenente al gruppo Palermiti e dunque lo stesso di Milella, i sicari avrebbero minacciato quest’ultimo con un perentorio «Mimmo u’ gnor, il prossimo sei tu» che lascia poco spazio agli equivoci. Ed è proprio per questa ragione, ritengono gli investigatori, che Milella si era trasferito in sole 24 ore «traslocando in tutta fretta dalla sua abitazione abituale in una villa dotata dei più moderni sistemi di videosorveglianza ma isolata e pertanto, evidentemente non ritenuta un posto sicuro in caso di agguato», aveva riassunto il gip del Tribunale di Bari Giuseppe De Benedictis nell’ordinanza di arresto. Non poteva saperlo Milella, ma la decisione di traslocare, era stata determinante anche nello sviluppo delle indagini. Se fosse rimasto nella sua villetta, sarebbe stato molto più difficile per gli agenti riuscire a piazzare una microspia che ha captato colloqui fondamentali a supportare la tesi dell’accusa. Adesso, dunque, un nuovo repentino trasloco. Questa volta, legato alla decisione di collaborare con la Giustizia. Milella ha deciso di pentirsi. E a Japigia tremano.

fonte: GIOVANNI LONGO – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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