Uomini del clan mafioso di Savinuccio Parisi “mi mandarono a chiamare per fare la pace ma portai la bomba a mano, tolto lo scotch, tolta la maniglia, perché io avevo paura che loro erano assai e dissi: ‘Se è qualcosa muoio io, ma saltiamo tutti all’aria”. Antonio Di Cosola, 61enne pluripregiudicato a capo dell’omonimo clan barese, racconta da collaboratore di giustizia fatti e circostanze della sua esperienza criminale, dai rapporti con il boss amico e poi rivale Savino Parisi, con gli affiliati Stramaglia di Valenzano (Bari) e anche con gli Strisciuglio del quartiere Libertà di Bari.
Le sue dichiarazioni sono state depositate dalla Procura nel processo ‘Domino’, in cui Parisi è imputato per associazione mafiosa insieme con altre 46 persone. Nella prossima udienza del 14 dicembre Antonio Di Cosola testimonierà in aula. Nei verbali Di Cosola parla di Savino Parisi con riferimento ad alcuni delitti commessi negli ultimi dieci anni che sarebbero stati commissionati – a suo dire – proprio dal boss di Japigia: dichiarazioni su cui sono in corso accertamenti da parte della magistratura barese.
Di Cosola ricostruisce i presunti interessi del clan Parisi – “milioni e milioni tutti investiti a Valenzano”, dice – e poi parla di “acqua nera”. “A Valenzano l’acqua era inquinata dai frantoi – riferisce al procuratore aggiunto della Dda di Bari, Pasquale Drago – dalle cave che fanno buttare le cose giù, materiale giù, un macello, è tutto inquinato, l’acqua non era buona nemmeno per i cavalli. Mi sono morti un sacco di cavalli con l’acqua inquinata. Se bevi questa acqua muori subito”.