Bari, Cassano (Corte d’Appello): “La Riforma Cartabia allungherà i processi anche qui. Senza organici e mezzi sarà tutto più difficile”

L’allarme del presidente: “Bisognerà organizzare adeguatamente il lavoro per evitare la temuta morìa dei procedimenti. Difficile pure centrare gli obiettivi del Pnrr” – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

Timori per l’ingolfamento degli uffici giudiziari nell’immediato futuro, preoccupazione per alcune disposizioni, critiche sul sottodimensionamento degli organici. Ma anche forti sollecitazioni ai colleghi a non perdere di vista il tema dell’efficenza del sistema giudiziario. Il presidente della Corte d’appello, Franco Cassano, interviene sulla Riforma del processo penale nel dibattito aperto dal procuratore Roberto Rossi e dagli aggiunti Francesco Giannella, Giuseppe Maralfa e Alessio Coccioli.

L’obiettivo della Riforma Cartabia è ridurre numero e durata dei processi. Per quanto riguarda la prescrizione sono previsti non più di due anni per il processo in Corte d’appello e un anno per la Corte di Cassazione. È realistico riuscire a rispettare questi tempi o si potrà assistere alla morìa dei processi?
“Quanto alla riduzione del numero e della durata dei processi, la riforma ha puntato sulla modifica dei riti processuali e sulla introduzione dell’ufficio del processo: si tratta di uno staff di neolaureati, che vengono assunti a tempo determinato, che coadiuva il magistrato nella preparazione dell’udienza e nella redazione delle sentenze più semplici. Si tratta di una innovazione organizzativa che può sortire effetti positivi qualora negli uffici sia presente un numero adeguato di magistrati da coadiuvare. Ma in questi anni di pandemia gli organici dei magistrati hanno sofferto, sguarniti anche per i tanti imprevedibili pensionamenti anticipati. Basti pensare che lo scorso anno la Corte d’appello di Bari ha operato con una scopertura di organico che ha toccato quota 33 per cento, sicché l’introduzione dell’ufficio del processo rischia di non essere decisiva. Sono stati poi riformati radicalmente i riti processuali, civili e penali, e questo comporterà difficoltà per gli operatori, alle prese con norme nuove. Nel breve periodo i tempi processuali si allungheranno e aumenterà l’arretrato, specie nel settore penale. Il complesso di questi fattori non consente grande ottimismo sulla possibilità di conseguire gli obiettivi fissati dal Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Quanto alla temuta morìa dei processi, bisogna organizzare adeguatamente il lavoro per evitare che accada”.

Si punta a rendere il processo sempre più telematico, ma per farlo servono strumenti adeguati in termini sia di mezzi sia di organici. A Bari ci sono?
“Il processo penale, al contrario di quello civile, non è stato informatizzato, i progetti in corso sono stati bloccati. In larghissima parte è ancora cartaceo e questo ha dei costi alti in termini di efficienza. Quanto all’organico, è riconosciuto che la giustizia, in tutta Italia, sta operando con grandi difficoltà. I rallentamenti legati alla riforma dei riti processuali e alle pesanti carenze dell’organico costituiscono una miscela pericolosa per il conseguimento degli obiettivi del Pmrr, cui sono legati i finanziamenti dell’Europa”.

L’Anm ipotizza un’eccessiva gerarchizzazione degli uffici inquirenti: è d’accordo?
“Il problema della giustizia in Italia è ancora la lentezza delle procedure. La gerarchizzazione degli uffici, introdotta nel 2006 e ripresa con la Riforma Cartabia, è stata un tentativo di responsabilizzare i dirigenti e, attraverso la catena gerarchica, l’intero corpo magistratuale sulla necessità di ridurre i tempi del lavoro e l’arretrato patologico. La gerarchia implica però, oltre a un approccio fordista al problema dell’arretrato, il rischio del conformismo e della omologazione culturale dei magistrati. Si comprende quindi la reazione, peraltro assai tardiva, dell’Anm. Constato però che il tema della ripresa di efficienza del sistema giudiziario rimane sullo sfondo, quasi abbandonato, e questo è un lusso che i magistrati non possono permettersi”.

Cosa della Riforma sarebbe più urgente modificare con eventuali decreti correttivi?
“Ci sono state scelte incomprensibili. Per esempio nel civile si è introdotto un rito nuovo, simile a quel rito societario che nei primi anni Duemila venne abrogato per la protesta unanime dei magistrati e degli avvocati. È chiaro, tuttavia, che ormai lo sforzo interpretativo deve essere volto a far funzionare al meglio la legge, così com’è, anche se forse si è ancora in tempo per qualche modifica”.

Al di là del dibattito sulla Riforma, in un recente incontro organizzato dall’Anm e dall’Ordine dei giornalisti lei ha sollecitato i magistrati a fare autocritica, dicendo che non si può sempre dire che è colpa di qualcun altro e che bisogna riflettere sul fatto che oggi la legittimazione sociale del magistrato è fortemente messa in discussione. Possiamo approfondire?
“La spettacolarizzazione dei processi, e ancor più la disseminazione mediatica di dati processuali anche nella fase delle indagini preliminari, cioè prima ancora che sia esercitata l’azione penale, sono state incoraggiate da approcci etici da parte di alcuni magistrati, dal populismo giudiziario, che si sente chiamato a combattere interi fenomeni sociali – la corruzione, la mafia eccetera – piuttosto che a giudicare singoli reati, o da talune pulsioni giustizialiste dell’opinione pubblica. La quale, progressivamente, ha mutato atteggiamento rispetto alla gogna mediatica, sino a diventare sempre più insofferente. La politica lo ha compreso ed il rischio è che si inneschino vendette e reazioni improprie. La pubblicazione delle famose chat ha poi disvelato un piano etico assai critico, che ha posto in crisi l’autorevolezza della magistratura. La magistratura deve tornare a percepirsi non solo come preposta al controllo della legalità dei comportamenti altrui, ma anche come istituzione chiamata ad assicurare che il controllo di legalità avvenga nel rispetto massimo delle garanzie, dei diritti e delle libertà dei cittadini, quando siano indagati e, ancor più, quando siano estranei alle indagini”.

Infine le intercettazioni, l’annunciata stretta del governo preoccupa molto i pubblici ministeri. Lei condivide?
“Credo che la questione debba riguardare soprattutto l’utilizzo del trojan, che consente la captazione continua di dati audiovisivi anche in ambienti indifferenti rispetto alle indagini e quindi in modo estremamente invasivo. Pongo una questione. Le garanzie del diritto penale classico sono state pensate per difendere il cittadino dalla pretesa punitiva dello Stato, la cui forza incontrollabile ne fa il possibile mostro Leviatano. Le mafie sono invece stati nello Stato: organizzazioni che controllano interi territori, hanno proprie forze armate, ricchezze straordinarie, proprie leggi. Per queste è indispensabile l’utilizzo dei trojan. I reati contro la pubblica amministrazione sono assimilabili ai reati di criminalità organizzata? Hanno pari pericolosità per la società?”.

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