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BARI – Mettetevi nei panni di un medico che deve fare i conti con un infermiere in permesso, un altro destinato a mansioni diverse e «inabile temporaneamente» per attività pesanti; e se a tutto questo aggiungiamo una malattia (siamo tutti esseri umani) o un turno di riposo, quel medico farà bene a spingere lui la barella se non vorrà ritrovarsi il paziente nel corridoio. Un dipendente su cinque alla Asl, un po’ meno al Policlinico. Nessuno discute il diritto, ma dopo il «caso» emerso alla Asl di Lecce, il sospetto è che un beneficio possa trasformarsi in abuso per omessi controlli. È il caso dei lavoratori che usufruiscono dei permessi previsti dalla legge 104/92, quella che tutela i disabili e i loro familiari nella vita lavorativa.
Una norma di civilità, indubbiamente, ma che dovrebbe spingere a qualche riflessione visti i numeri che incidono in maniera non indifferente sugli organici degli ospedali. Mentre Lecce fa i conti poco meno di 1200 lavoratori in permesso «104» rispetto agli scarsi 8mila in organico, la Asl di Bari ne ha contabilizzati circa 1.700 su un organico di poco più di 8.600 unità: un quinto del personale, insomma, lavora a singhiozzo, nel senso che manca dal posto di lavoro per tre giorni al mese, oppure ha diritto all’orario «corto» giornaliero. Per avere un’idea, è come se per una settimana si fermasse tutto il personale di ospedali, distretti e uffici amministrativi della Asl.
La più grande azienda sanitaria della Puglia (e la terza in Italia) conta infatti 44.370 giornate di permesso cui vanno aggiunte le 22.094 ore assegnate ai dipendenti che usufruiscono della «104»: il picco di assenze si registra nei mesi estivi, in particolar modo luglio e agosto proprio nel periodo che coincide con le ferie. Al Policlinico, i dipendenti in «104» sono poco meno di 700 su un organico complessivo di circa 4mila unità.