Quello che segue è il contributo del “Liberatorio Politico” e del “Coordinamento territoriale di Molfetta del C.N.B.A.C. ” inserito nel dossier nazionale.
Molfetta : Porto – Torre Gavetone
Il problema “del gas”, come viene chiamato dai pescatori di Molfetta, ha inizio nel 1946. Infatti, proprio in quell’anno, si deve ad un medico dell’Ospedale Civile di Molfetta, il dott. Adamo Mastrorilli, la registrazione dei primi casi di contaminazione da “gas tossici e vescicanti ” quando la Puglia era ancora sotto l’occupazione anglo-americana. Nell’estate di quell’anno l’intero equipaggio di un peschereccio, che aveva caricato a bordo una bomba chimica all’iprite, fu colpito dagli effetti letali del gas.
Nella relazione medica, di Mastrorilli, si leggeva: “Inizialmente non fu possibile capire quale fosse stata la causa di tale ustione collettiva, successivamente però dal comando alleato (con un rapporto del colonnello Alexander, ufficiale medico, inviato a Bari) all’uopo interessato, si seppe che si trattava di ustioni di “mustard gas” gettato in bombole, con altri residuati bellici, lungo le coste del basso Adriatico. Nei primi giorni di ricovero decedettero 5 soggetti più gravemente ustionati per sopravvenuta gravissima, broncopolmonite massiva, ribelle ad ogni terapia ” (DISASTRO A BARI – di Glenn B.Infield-Adda-Editore)
La maggior parte delle bombe caricate all’iprite, o di altra sostanza chimica, provenivano dalle stive delle 17 navi affondate nel porto di Bari durante il bombardamento tedesco del 2 dicembre 1943.
La nave americana John Harvey, aveva la stiva ancora piena di “bombe all’iprite”. Ciascuna bomba, lunga quasi 120 cm e del diametro di 20 cm conteneva circa 30 kg. di iprite, un gas tossico e vescicante, dal caratteristico odore di aglio. Con otto bombe si poteva contaminare completamente oltre un ettaro di terreno.
Le navi americane avevano nelle stive contenitori e bombe all’iprite messi fuori legge dalla convenzione di Ginevra del 1925.
Durante le operazioni di recupero degli ordigni si accertò che più navi statunitensi giunte nel porto di Bari avevano nelle stive armi a caricamento chimico e non solo d’iprite. Venne accertata la presenza di altri aggressivi chimici: acido clorosolforico, cloro picrina, cloruro di cianogeno. Le operazioni di bonifica del porto iniziarono nel 1947 e si protrassero per alcuni anni. Per dare un’idea della quantità immane dei vari ordigni recuperati, è sufficiente leggere i rapporti che settimanalmente venivano inviati ai diversi Ministeri interessati ed alla Prefettura. Da questi risulta che i soli ordigni chimici caricati ad iprite assommarono a ben 15.551 bombe d’aereo e 2.533 casse di munizioni (ovviamente il quantitativo di munizionamento ordinario recuperato fu di gran lunga superiore). Le operazioni consistevano nel recupero dei vari ordigni, dai fondali del porto, e nel loro caricamento su appositi zatteroni. Poi apposite ditte civili trasportavano al largo questi zatteroni e ne affondavano il carico su fondali del nord barese ed in particolare al largo di Torre Gavetone.
Infatti proprio l’area costiera tra Molfetta e Giovinazzo antistante l’ex impianto di “sconfezionamento ordigni Stacchini” (Torre Gavetone) diventò negli anni della bonifica del porto di Bari, una sorta di pattumiera di ordigni bellici a caricamento chimico. Oggi, l’area interessata, georeferenziata, è diventata ancora più ampia e comprende anche la zona portuale e l’area antistante il porto .
Dal 1946 fino alla fine degli anni ’90 sono stati ricostruiti 239 casi di intossicazione da iprite ma, nonostante le varie bonifiche avvenute in questi 69anni, ancora oggi il problema esiste (VELENI DI STATO – di Gianluca Di Feo – BUR Rizzoli)
Alle bombe inabissate, provenienti dalla bonifica del porto di Bari, si aggiunsero quelle sganciate dai caccia della Nato durante la guerra del Kosovo.
La Capitaneria di Porto di Molfetta, durante il conflitto in Kosovo, diffuse una mappa che parlava chiaro; i caccia della Nato sganciarono ordigni inesplosi (probabilmente caricati con uranio impoverito) nel basso Adriatico in undici aree, due delle quali a 12 miglia dalla costa.
Fu allora che la Legambiente lanciò in tutta la Puglia la campagna “Via le bombe da un mare di pace” chiedendo a voce alta la bonifica bellica del basso adriatico (Repubblica — 26 settembre 2001 pag.15- di Tiziana Ragno).
Il 28 dicembre 2001, con la legge Finanziaria 448, art.52, comma 59, fu varato l’accordo di programma per la definizione del “Piano di risanamento delle Aree Portuali del basso Adriatico”, destinando la somma di € 5.000.000,00 a valere sui fondi della Legge 426/1998.
Con Decreto del 10 Marzo 2006, i Ministeri dell’Economia e dell’Ambiente individuavano la Regione Puglia quale unica regione interessata alla realizzazione del “Piano di Risanamento del Basso Adriatico” di cui all’art. 52, comma 59 della L. 448/01.
Nell’estate 2008, in concomitanza delle operazioni di bonifica nel porto di Molfetta, comincia ad essere presente nelle acque del mare di Molfetta, l’alga tossica (Ostreopsis ovata); in seguito alle centinaia di casi di cittadini colpiti dalla sintomatologia tipica dell’alga tossica e ad un caso particolare segnalato da un cittadino, il Movimento Liberatorio Politico chiede, all’ARPA-Puglia, il monitoraggio delle acque marine comprese nello specchio d’acqua antistante Torre Gavetone per verificare eventuali presenze di sostanze tossiche riconducibili agli ordigni bellici a caricamento chimico presenti.
Con Deliberazione n. 166 del 17 febbraio 2009, la Giunta della Regione Puglia approvava l’accordo di programma e individuava come aree d’intervento della I°Fase di bonifica, quelle comprese tra il faro di Vieste e Capo d’Otranto ed in particolare il Porto Vecchio di Manfredonia, Porto di Molfetta, Porto nuovo di Bari, area costiera di Torre Gavetone ed isolotto di Sant’Emiliano.
Il 20 agosto del 2009 non avendo ricevuto alcuna risposta sia da parte del sindaco che dall’Arpa Puglia, il Liberatorio Politico ha inoltrato un esposto alla Procura di Trani e al Prefetto di Bari per verificare tra le altre cose, se tutte le operazioni di bonifica da ordigni bellici in atto a Molfetta fossero svolte nel rispetto dei protocolli di specie e nel rispetto della salute pubblica e salvaguardia dell’ecosistema;
– di verificare se la diminuzione del pescato negli ultimi anni nel nostro mare era dovuto alla presenza di eventuali sostanze chimiche sversate da bombe e fusti, contenenti gas tossici, corrosi dal tempo;
– di verificare se nei fondali marini antistanti Torre Gavetone, ed altre zone costiere limitrofe, ci fossero ancora delle bombe depositate sui fondali (e/o cementate) come affermato dal Capitano di Fregata Giambattista Acquatico, Comandante del Nucleo S.D.A.I. (Sminamento e Difesa Antimezzi Insidiosi), in una intervista del 9 sett. 2008, oppure stoccate in un deposito subacqueo creato in una insenatura naturale poco distante da Torre Gavetone.
Il 13 novembre 2009 durante un convegno pubblico, a Molfetta, vengono resi noti i risultati della prima fase della bonifica nel Porto di Molfetta e di Torre Gavetone e le relazioni del convegno sono depositate sul sito Risanamento Ambientale del Basso Adriatico.
L’aggiornamento del sito si ferma al mese di giugno 2010, e quello che preoccupa i cittadini molfettesi, oltre i silenzi e le omissioni di politici e militari, sono i numeri a quattro cifre che cominciano a trapelare negli atti amministrativi e nelle interviste. Dopo le delibere di Giunta Comunale e le determinazioni dirigenziali che parlano di 3.000, poi di 7.000 ordigni ritrovati e poi si è passati ai 10.000 ordigni di cui ha parlato il Sindaco Azzollini e il progettista del Porto in una intervista rilasciata ad una emittente locale per giustificare i ritardi sul cronoprogramma della costruzione del nuovo porto commerciale. Se fossero veri questi numeri ci sarebbe da preoccuparsi sul serio, dal momento che dei 10.000 ritrovamenti conosciamo analiticamente solo la natura di circa 700 ordigni contenuti in una relazione dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Nell’elenco aggiornato al marzo 2010 sono compresi numerosi ritrovamenti di bombe a caricamento chimico e fusti di difosgene, che è un potente gas tossico asfissiante.
Il 27 luglio 2011 durante una conferenza organizzata dal Circolo di Molfetta della Legambiente e dal Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche vengono presentate le foto di possibili depositi sottomarini di residuati bellici sigillati col cemento a circa 20 metri dalle coste di Torre Gavetone (tra Molfetta e Giovinazzo), a una profondità che varia tra i 2 e i 4 metri. Nella mattinata del 1 agosto 2011 il Comune di Molfetta e la Capitaneria di Porto vietano la balneazione nello specchio acqueo antistante Torre Gavetone.
Nella prima settimana di settembre la Procura di Trani apre un fascicolo d’indagine sui lavori del porto di Molfetta, sulla bonifica bellica in atto e sulla proliferazione dell’alga tossica (Ostreopsis ovata) che nel campionamento prelevato nell’agosto 2011 ha fatto registrare a Molfetta una densità record di 2.061.288 cellule/litro sulle acque di fondo e 68.400 sulle acque/colonna.
Con la Del. n. 2884 del 20 dicembre 2011 la Regione Puglia rimodula l’accordo di Programma e destina l’intera somma di 5.000.000,00€ (Articolo 52, comma 59, Legge Finanziaria 28 Dicembre 2001, n. 448) alla bonifica del Porto di Molfetta ed allo specchio d’acqua antistante Torre Gavetone (tra Molfetta e Giovinazzo) .