Armi chimiche, basta bugie

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di Gianluca Di Feo – espresso.repubblica.it

Adesso vogliono la verità. La chiedono soprattutto al ministro Ignazio La Russa, perché vengano scoperchiati gli archivi più segreti della Difesa: quelli dove sono custoditi i fascicoli più neri della storia militare italiana. Vogliono sapere cosa è accaduto realmente alle armi chimiche prodotte nel nostro paese, decine di migliaia di tonnellate di sostanze letali ed immortali distillate durante il fascismo, poi nascoste nel dopoguerra e spesso disperse nel mare o nei terreni. Perché quei veleni di Stato continuano a condizionare la vita di decine di località italiane, che adesso hanno creato un coordinamento per fare chiarezza sui danni di quell'eredità bellica inconfessabile. 

Dal Lazio alla Campania, dalla Puglia al Lazio, dalla Lombardia alla Marche associazione di diverso orientamento si sono unite per smascherare un mistero che continua ad inquinare l'ambiente. Lo fanno per difendere la salute di chi da cinquant'anni convive con giacimenti di ordigni mostruosi, in località che vivono invece di mare e natura: come Ischia, Pesaro, Cattolica, il lago di Vico, il Gargano, il Lago Maggiore. E dove è stata sempre taciuta la presenza di depositi di iprite, arsenico, fosgene e altre sostanze chimiche create per uccidere e assecondare i sogni imperiali dell'Italia mussoliniana. 

Solo un anno fa, grazie a un libro-inchiesta e agli articoli dell'Espresso sono stati informati di questa inquietante realtà. E i primi esami scientifici hanno confermato l'esistenza di questi veleni, come l'arsenico ancora presente nei boschi della Tuscia e nelle falde acquifere dell'hinterland milanese. Ma i loro appelli per saperne di più sono rimasti senza risposta. 

Il ministro della Difesa ha dato repliche di circostanza; quello dell'Ambiente li ha ignorati; le agenzie regionali hanno fatto finta di nulla. E per questo hanno deciso di unire le forze e creare il "Coordinamento nazionale bonifica armi chimiche", che sabato si riunisce per la prima volta a Roma nella sede di Legambiente. 

La realtà con cui si confrontano queste associazioni ha dell'incredibile. A largo di Molfetta, per esempio, ci sono ancora centinaia di bombe con testate al gas scaricate in mare dagli americani che disperdono lentamente nel mare la loro carica mortale. Uno studio ha dimostrato che gli effetti restano devastanti: provocano persino mutazioni genetiche nei pesci. Davanti alle coste di Ischia sono stati affondati migliaia di questi ordigni, che nessuno ha mai monitorato o analizzato. Nelle Marche, davanti a Pesaro e Cattolica, giace l'arsenale di iprite gettato dai tedeschi in fuga. Sulle sponde del Lago di Vico una gigantesca base militare top secret protegge i depositi dove ci sono ancora i resti dell'arsenale: l'ultima vittima in Europa delle armi chimiche è un ciclista che nel 1997 venne travolto da una nuvola di gas bellici mentre faceva un'escursione in quei luoghi bucolici. E gli impianti che hanno prodotto quelle sostanze non sono mai state bonificati, perché la loro reale natura è stata tenuta nascosta: sul Lago Maggiore, a Foggia, a Melegnano e a Cesano ossia alle porte di Milano e di Roma. 

Persino nel cuore della Capitale, le aule di alcune facoltà della Sapienza sono state costruite nell'area dove per decenni si sono sperimentate pozioni assassine e in uno di questi dipartimenti si registra a una catena di tumori senza spiegazione. E a Bari, l'unica città europea dove nel 1944 ci fu una strage per l'esplosione di una nave carica di bombe all'iprite, nessuno ha mai cercato di capire quali danni questa catastrofe continui a causare: la documentazione medica sul massacro è stata tenuta segreta dal governo britannico fino a oggi. 

Ora il Comitato vuole diffondere tutte le informazioni disponibili sul Web – grazie al sito www.velenidistato.it – e spezzare l'omertà sul problema. 

Una prima interrogazione parlamentare è stata presentata dai deputati Ferrante e Della Seta. Altre iniziative seguiranno. Per cercare di spingere la Difesa ad aprire gli archivi: ancora oggi non si sa quante tonnellate di queste armi siano state confezionate dalla catena di industrie – almeno venti – che hanno fornito i gas usati in minima parte nella guerra di Etiopia e poi in gran parte dispersi in mare o nel terreno. Secondo i files dell'intelligence britannica, si tratterebbe di almeno 23.500 tonnellate prodotte ogni anno dal 1935 al 1943.

Quello che è sopravvissuto nei depositi delle forze armate è stato poi occultato fino alla caduta del Muro di Berlino, perché si trattava di armi vietate da tutte le convenzioni internazionali, e poi in parte trasferito in un grande impianto di smantellamento a Civitavecchia. Senza preoccuparsi della contaminazione che è rimasta nei siti. Per questo le associazioni invocano l'intervento del ministero dell'Ambiente, per capire quanto le sostanze tossiche abbiano inciso nell'ecosistema di paesi che oggi vivono di turismo e natura. Ed evitare che altre generazioni di italiani paghino ancora per quella follia bellica nata settant'anni fa.

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