Antimafia e veleni. Se anche Franco La Torre lascia “Libera” …

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GIACOMO DI GIROLAMO – ilmattinodisicilia.it

Antimafia di convenienza, schermo di interessi indicibili. La stagione difficile dell’antimafia vive oggi un’altra pagina dolorosa. Non è un’inchiesta giudiziaria come nel caso del giudice Silvana Saguto – oggi sospesa – , non è un’indagine come nel caso del presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante,  e quindi magari non saranno molti i riflettori accesi. Ma, per chi conosce le cose di mafia, e di antimafia, nel nostro Paese, è uno dei passaggi più importanti: Franco La Torre, figlio di Pio, il segretario regionale del Pci ucciso a Palermo nel 1982, lascia Libera. E lo fa con una lettera molto dura, in parte ripresa su La Repubblica .

Franco La Torre, da quattro anni componente del consiglio di presidenza di Libera, ha mosso alcune critiche durante l’assemblea nazionale dell’associazione antimafia ad Assisi, dando voce ad un malessere che da troppo tempo cova dentro il movimento.  Qualche giorno dopo è stato sfiduciato da Don Luigi Ciotti con un sms in cui si parla di “rottura del rapporto di fiducia“. Stop.  Per due settimane Franco La Torre ha chiesto una spiegazione, ha cercato un colloquio. Niente. Alla fine, con «malessere e dolore», ha scritto durissime righe per sancire il suo “divorzio” da Libera:

«Care e cari, prendo atto del vostro silenzio. Di conseguenza vi rimetto l’incarico di presidente e rappresentante legale di Flare, quelli di responsabile di Libera Europa e di rappresentante di Libera nel Comitato della Casa del Jazz e rinuncio al compito di seguire il Premio Pio La Torre. Mi appresto ad informare tutte le persone interessate della mia scelta, attento a salvaguardare la memoria di mia madre e di mio padre e i valori che mi hanno trasmesso».

Secondo La Torre, l’associazione fondata vent’anni fa da Don Ciotti e che oggi soffrirebbe, a suo dire, di autoritarismo, mancanza di democrazia e inadeguatezza della sua classe dirigente. «Il fatto che in pochi mesi siano andati via, in diversi modi, cinque dirigenti è un fatto politico che andrebbe affrontato», dice oggi La Torre a Repubblica. «Ho messo in evidenza alcune  fragilità, a cominciare dal processo di formazione della classe dirigente di Libera, non adeguata alla crescita dell’organizzazione e dalla mancanza di quel confronto in grado di produrre decisioni condivise e azioni adeguate. È come se avessimo rinunciato ad incidere nel dibattito politico. La nostra voce si sente meno e, attorno, il silenzio è assordante, crescente è l’eco dell’antimafia di convenienza e dell’antimafia schermo d’interessi indicibili». La Torre indica due circostanze in cui la dirigenza di Libera non sarebbe riuscita “ad intercettare” interessi oscuri che si muovono in campi di sua competenza, da Mafia Capitale al caso Saguto a Palermo.

Proprio qualche giorno fa era stato il presidente del Senato Pierto Grasso a lanciare la sua bordata: è necessaria un’antimafia «che sappia guardare al proprio interno e abbandonare il sensazionalismo, il protagonismo, la pretesa primazia di ogni attore, la corsa al finanziamento pubblico e privato».  E l’ha detto «con dolore», sottolineando come, oltre a questo, «per superare il degrado, per liberare la politica e le amministrazioni dal malaffare, abbiamo bisogno di una classe dirigente credibile e trasparente».

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