Ancora un “NO” alla Centrale POWERFLOR

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Mentre il GIP del Tribunale di Bari, Michele Parisi, ha convalidato il sequestro del termovalorizzatore che la società Eco Energia srl (Gruppo Marcegaglia) sta realizzando a Modugno (Bari), a Molfetta prende posizione sulla centrale Powerflor il Prof. Domenico Picca che, dalle pagine del mensile L’Altra Molfetta di Ottobre, esprime il suo convinto no alla costruzione della centrale. Segue il testo integrale dell’articolo.

Un’aggressione scellerata

Nel silenzio e nell’indifferenza dei più, ancora una volta, si sta perpetrando nell’agro di Molfetta un’aggressione all’ambiente, avvallata, per giunta, da atti amministrativi, nella più benevola delle ipotesi, ispirati da grande superficialità.
In contrada Ciardone, a poco più di 2 km. dal centro abitato di Molfetta e circa 3 km. da Giovinazzo, è in costruzione, sulla strada provinciale 55 Molfetta-Bitonto, una centrale termo-elettrica ad olio combustibile (biomasse e simili).
Un tale insediamento in pieno agro, in una zona ad alta densità orticola e di coltivazioni pregiate nonché residenziale (stabile e stagionale), potrà comportare un forte impatto sull’ambiente oltre che conseguenze sulla salute dei cittadini e soprattutto sull’economia locale.
La costruzione di questa centrale, ad opera della Powerflor (una holding locale del Gruppo Ciccolella che sta espandendosi dalla floricoltura industriale alla produzione di energia elettrica), servirà, stando a quanto dichiarato dai promotori di queste iniziative, a “soddisfare il fabbisogno elettrico e termico per la coltivazione floricola, presente già sui luoghi di aziende facenti parte del gruppo Ciccolella”. La centrale produrrà energia elettrica pari a 39.000 Kwe e brucerà circa 180 tonnellate al giorno (60.000 tonnellate all’anno) di combustibile per produrre una potenza termica di 77.000 Kw.
Appare evidente che la produzione di energia elettrica e termica di tale impianto è di gran lungo superiore al reale fabbisogno dell’attività delle aziende cui dovrebbe essere destinata. L’intento, non dichiarato ma chiaramente denunciato dal dimensionamento dell’impianto, è principalmente produrre e vendere energia elettrica all’ENEL.
Tale fine è ulteriormente confermato da una successiva istanza concessoria di variante presentata dalla Powerflor per portare la potenza prodotta a 116 Mwe. Altri documenti ancora provano inequivocabilmente quale era il fine ultimo e i reali obiettivi del gruppo.
Nessun uomo di buon senso potrebbe opporsi ad una maggiore disponibilità di energia, accettando un ragionevole e sostenibile livello di rischio. E’ sempre il buon senso che dovrebbe consigliare la scelta degli insediamenti di produzione, dopo un’attenta valutazione dell’impatto sull’ambiente, sulla salute e sull’equilibrio economico locale. Ispirate a questi principi le semplici riflessioni che seguono conducono alla conclusione che la centrale della Powerflor non si ha da fare!
L’energia, generata attraverso la combustione, produce sempre sostanze nocive, che vengono disperse nell’ambiente attraverso ciminiere, quali monossido di carbonio, anidride, ossidi di azoto, ceneri volatili, ceneri pesanti, polveri fini e ultrafini, delle quali alcune filtrabili e altre, come le polveri ultrafini, che nessun filtro può trattenere.

E’ la stessa Powerflor che afferma che le emissioni che si avranno sono quelle tipiche di un motore a combustione interna alimentata ad olio.
Nel caso della centrale in costruzione, si parla di circa 5.400 tonnellate al giorno di gas di scarico umido che verranno liberate in atmosfera con conseguente ricaduta sul terreno: uno spargimento continuo di polveri sottili inquinanti, altamente cancerogene, sugli ortaggi e i frutti prodotti nei campi circostanti nonché un pesante condizionamento della qualità dell’aria respirata dai residenti e dagli agricoltori che abitano e vivono nel circondario.
Una tale situazione porterà inevitabilmente al collasso dell’economia locale: produzione agricola dequalificata sui mercati e deprezzamento dei terreni e delle tante residenze (ville e case di campagna).
E’ giustificato sacrificare i legittimi interessi dei molti al profitto del singolo?
L’ubicazione della centrale in contrada Ciardone appare ancor più problematica alla luce dello spirito della legislazione sulle fonti rinnovabili. Le biomasse vegetali sono da considerarsi fonti rinnovabili se il loro consumo è in armonia con la loro produzione: cioè si brucia tanta biomassa quanta se ne produce. Come anche indicato dal Piano Energetico Ambientale Regione Puglia 2006, questo equilibrio dinamico si instaura quando si realizza una filiera corta agro-energetica, finalizzata ad utilizzare in centrale i prodotti dei terreni circostanti. Una centrale di tale potenza, quale quella voluta dalla Powerflor, non può essere alimentata solo con materie prime locali o delle zone limitrofe perché largamente insufficienti.

La quantità di olio necessaria per alimentare un impianto da 39.000 Kwe è dell’ordine di 60.000 tonnellate all’anno; sarebbero quindi necessari circa 1.500 ettari (150 Km2) di colture dedicate di piante oleaginose. L’intera contrada Ciardone e tutto l’agro molfettese, giovinazzese, bitontino e terlizzese insieme (estesi per 236 km² circa) non hanno terreni con tali coltivazioni, sicché s’imporrà o una conversione colturale di più della metà del territorio circostante (distruggendo uliveti secolari di pregio) o un ricorso continuativo e sistematico all’importazione da altre zone (e, visto l’assetto nazionale, con molte probabilità lontane e lontanissime).
E questo rappresenta un ulteriore problema. Per soddisfare il fabbisogno della centrale (stimato in circa 172 tonnellate al giorno di combustibile, decine di autocisterne al giorno dovranno percorrere la provinciale Molfetta-Bitonto che già presenta gravi problemi di viabilità. Per non parlare del rilascio di gas di scarico che si andrebbe ad aggiungere a quelli della centrale.
Inoltre la zona non è servita dall’Acquedotto Pugliese: da dove la centrale prenderà l’acqua per il suo ciclo produttivo? Problematica appare la soluzione di emungimento dalle falde sotterranee. Un emungimento massiccio potrebbe avere effetti devastanti non solo sulle falde ma anche sull’utilizzo in agricoltura, vitale per la produzione orticola della zona.
In conclusione, sarà praticamente impossibile creare una filiera corta bio-energetica che possa soddisfare a regime il fabbisogno di combustibile della centrale, in quanto servirebbero enormi distese di terra con coltivazioni dedicate.
Una conversione impossibile da realizzarsi a meno di non stravolgere completamente l’attuale panorama produttivo locale e viciniore del territorio, dedicato tradizionalmente a produzioni agro-alimentari pregiate.
L’impianto avrà serie e pesanti ripercussioni su quantità e qualità dei prodotti delle colture esistenti (orto-frutta e olio di oliva) con effetti devastanti in termini socio-economici. Per tacere dei pericoli derivanti da un forte appesantimento della viabilità della provinciale Molfetta-Bitonto.
Queste semplici considerazioni avrebbero dovuto consigliare maggior prudenza da parte della pubblica amministrazione nell’istruttoria dell’istanza concessoria: ritenere non necessaria una valutazione d’impatto ambientale appare del tutto incomprensibile. Auspichiamo che, al difetto originario, i responsabili del procedimento, regionali e comunali, ciascuno per le proprie competenze, pongano rimedio, nell’esaminare la richiesta di variante, attuando puntualmente un controllo sul rispetto di tutte le
disposizioni di legge, animati da una sensibilità maggiore nei confronti dei problemi della collettività. La politica è anche questo.

Prof. Domenico Picca
Presidente Consorzio Autonomo Guardie Campestri – Molfetta

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