“Amato + 5”, è il turno dell’ex assessore Ancona

Il teste della difesa, in carica dal 2000 al 2004, è stato ascoltato su autorizzazioni per occupazione di suolo pubblico e sanzioni amministrative

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di La Redazione (www.molfettalive.it/…)

È stato l’ex assessore al Commercio Antonio Ancona l’unico testimone ascoltato ieri nell’ambito del processo cosiddetto “Amato +5” per concussione, voto di scambio, abuso d’ufficio e falso ideologico a carico di Pino Amato, Pasquale Mezzina, Girolamo Antonio Scardigno, Gaetano Brattoli, Vito Pazienza e Giovanna Anna Guido.

Due le costituzioni di parte civile, Matteo d’Ingeo rappresentato dall’avv. Bartolomeo Morgese e il Comune di Molfetta dall’avv. Maurizio Masellis.

Gli altri testi a discarico chiamati a deporre dalla difesa del principale imputato sono risultati assenti e compariranno in aula nella prossima seduta. Assente anche il consigliere regionale Massimo Cassano, per riferiti motivi di salute. Ma il politico del Pdl comparirà ugualmente in aula, stavolta come teste del pubblico ministero Giuseppe Maralfa, il quale non ha inteso accogliere la rinuncia della difesa.

La testimonianza di Ancona, assessore della giunta Minervini dal 2000 al 2004 ha toccato i temi delle autorizzazioni all’occupazione di suolo pubblico e del commercio, in particolare allo status di “città a interesse turistico”.

Attestazione che comporta un allargamento delle maglie e dei vincoli previsti per il rilascio delle concessioni e le autorizzazioni, più volte inseguita da Palazzo di Città e materializzata solo dopo l’avvento dell’Outlet. Ma l’assessore – a domanda precisa dell’avv. Masellis – ha risposto di non aver mai personalmente visto l’atto che la sancì e nè se realmente esistesse.

«C’era un indirizzo politico nel concedere autorizzazioni all’occupazione di suolo pubblico?» ha chiesto il difensore di Amato, l’avvocato Domenico Di Terlizzi. Ancona ha risposto di no; certo, una discrezionalità in alcuni casi c’era, ma si riduceva alla riduzione della sanzione. Che però a volte non era pagata a causa dell’indigenza del contravventore.

Un comportamento, quest’ultimo, che per legge avrebbe dovuto condurre all’arresto e al sequestro della merce, come rilevato dal collegio giudicante.

Gli uffici comunali, però, secondo l’ex titolare della delega al commercio, si attenevano alla normativa ed eventuali pressioni e contestazioni rientravano nella normale vita amministrativa.

L’udienza è stata aggiornata al 24 febbraio.

IL PROCESSO

Secondo la procura della Repubblica di Trani rappresentata dal pubblico ministero Giuseppe Maralfa, l’attuale consigliere comunale dell’Udc Pino Amato, tra il 4 gennaio 2004 e l’11 ottobre 2005, periodo in cui ricopriva la carica di assessore alla Polizia Municipale della giunta del sindaco Tommaso Minervini, avrebbe abusato della sua funzione di pubblico ufficiale attivandosi per mettere in piedi, insieme ad altri imputati, una rete di contatti atta a creare un serbatoio di voti per sé e per altri.

Tale serbatoio di voti sarebbe stato utilizzato per sé durante le elezioni amministrative del 2006 (che l’hanno visto totalizzare 999 preferenze) e nelle elezioni regionali 2005 in favore del candidato di Forza Italia Massimo Cassano (eletto con 10.835 voti, 1.707 dei quali ottenuti a Molfetta).

Questo quadro accusatorio è maturato dopo indagini condotte per mezzo di intercettazioni telefoniche e ambientali ed è sfociato nel procedimento in corso nel Tribunale di Trani.

Assieme ad Amato, sul banco degli imputati siedono Pasquale Mezzina (ufficiale di Polizia Municipale), Girolamo Antonio Scardigno (ex consigliere comunale di Forza Italia), Gaetano Brattoli (broker assicurativo), Vito Pazienza (militante del movimento politico Popolari per Molfetta) e Giovanna Anna Guido (rappresentante legale dell’istituto di Vigilanza La Securpol s.r.l.). A vario titolo, devono rispondere di concussione, voto di scambio, abuso d’ufficio e falso ideologico.

Il processo, l’ormai noto “Amato + 5”, ha avuto inizio il 10 gennaio 2008. Allora era denominato “Amato + 8”, per la presenza tra gli imputati dell’ex Tenente di Polizia Municipale Vincenzo Zaza (all’epoca dei fatti comandante del Corpo) e dell’altro vigile urbano Gianfranco Michele Piccolantonio. Entrambi chiesero il patteggiamento, ammettendo quindi la loro colpevolezza, e vennero condannati il 21 febbraio rispettivamente a tre e un anno di reclusione. Pena non scontata per l’indulto.

 

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