Al "Ristorante Bufi" si degusta anche la legalità

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Il 3 aprile scorso avevamo gia parlato di altri arresti nell’ambito della stessa operazione della Guardia di Finanza, invitando i cittadini molfettesi a denunciare gli ispettori del lavoro che chiedevano tangenti per ammorbidire e o evitare le sanzioni. Le denunce sono arrivate, ma riteniamo che ce ne siano altre ancora da fare.

Lo scandalo delle ispezioni fasulle; tangenti per evitare sanzioni, 16 arresti tra funzionari e imprenditori.

di Carmen Carbonara
Sabato 4 Aprile 2009 – Corriere del Mezzogiorno

 – Se non ci fossero stati gli imprenditori con le loro denunce, probabilmente non sarebbero venuti mai alla luce i nuovi episodi (una quindicina) di corruzione e concussione a carico funzionari e dirigenti della Direzione provinciale del lavoro di Bari, finiti ieri per la seconda volta nella rete della guardia di finanza di Barletta. In tutto 16 persone, di cui tre agli arresti in carcere, 11 ai domiciliari e due colpiti da misura interdittiva. Semplici ispettori, ma anche responsabili di unità opèrative delle Direzione provinciale del lavoro, insieme a imprenditori e consulenti del lavoro sono le persone raggiunte dalle misure cautelari disposte dal gip del tribunale di Trani, Roberto Oliveri del Castillo, su richiesta del pm Michele Ruggiero, nell’ambito della seconda parte dell’operazione «Work Market» che il 15 gennaio scorso aveva portato già all’arresto di 16 persone. Tre di queste, tutti ispettori della Direzione provinciale del lavoro di Bari (Giovanni Maldera di Corato, il barese Antonio Angelo Volponi e il bitontino Giuseppe Gesualdo) ieri sono finiti di nuovo in carcere per la seconda volta. Rispondono, a vario titolo, di concussione e corruzione, abuso e falso in atti d’ufficio.
Per «ammorbidire» la posizione delle aziende ispezionate, in cui venivano trovati lavoratori «a nero» o dove semplicemente qualche registro non era in ordine, i funzionari dell’Ispettorato del lavoro di Bari chiedevano tangenti dai 500 ai 1.500 euro. E’ il caso del “Ristorante Bufi” di Molfetta, dove due ispettori erano andati in seguito a una visita della guardia di finanza, che aveva constatato la mancanza di libri e documenti contabili (che erano in quel momento presso il commercialista. ndr) Uno dei due ispettori aveva assicurato al titolare che in cambio di 2mila euro avrebbe potuto sistemare la sua posizione, altrimenti le sanzioni pecuniarie previste nel suo caso avrebbero potuto raggiungere importi molto più elevati. Il ristoratore non solo non ha mai pagato, ma ha anche denunciato il tutto ai finanzieri. Ma nei casi di imprenditori che non potevano pagare, qualche ispettore si è accontentato del classico telefonino o anche di un tagliaerba (per la precisione decespugliatore) del valore di 700 euro: è il prezzo della tangente richiesta e pagata da alcuni soci della Cooperativa agricoltori biscegliesi. Anche perché dei nuovi casi accertati, una quindicina, la maggior parte riguarda proprio il settore agricolo.
Oltre ai tre ispettori in carcere, nei guai è finito anche un altro ispettore, Luca Cifarelli di Bari, che ha usufruito dei domiciliari. E stesso provvedimento è stato preso per due consulenti del lavoro, il canosino Antonio Felice Fabiano e la tranese Filomena Altamura; per un addetto al Centro per l’impiego di Bitonto, Michele Cariello; per due rappresentanti di associazioni di categoria agricole, ovvero Aldo Raffaele De Sario della Coldiretti di Bitonto e Antonia Pasquale dell’Unione agricoltori di Bisceglie; e ancora per gli imprenditori agricoli Emanuele e Riccardo De Gioia; per un loro parente, Riccardo Alicino, che avrebbe fatto da intermediario con gli ispettori; un dipendente in pensione dell’Ispettorato del lavoro, Cosimo Valente, e il ragioniere di un’azienda agricola di Bisçeglie, Antonio Rinaldi, che avrebbero agito entrambi come intermediari tra le parti. I due dirigenti interdetti dalla loro pubblica funzione, invece, sono il responsabile della linea operativa per la vigilanza agricola per il Nord Barese del Dipartimento del lavoro, Paolo Catalano, e il capo unità operativa, Ferdinando Rossi, entrambi di Bari, tutti e due accusati di aver vistato l’archiviazione delle pratiche nonostante presentassero evidenti irregolarità.
La prima parte dell’inchiesta ha comunque già prodotto delle novità alla Direzione provinciale del lavoro di Bari, grazie all’invio di due ispettori da parte del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. «Saranno rettificate – ha spiegato ieri il pm Michele Ruggiero, durante la conferenza stampa in procura a Trani – alcune smagliature del sistema, in modo che l’azione degli ispettori abbia un maggiore controllo. Nei casi accertati, infatti, i controlli da parte dei superiori erano fittizi, al limite dell’ omissione»

13 Risposte a “Al "Ristorante Bufi" si degusta anche la legalità”

  1. In Italia, al solito, scopriamo sempre “l’acqua calda”! Era notorio, l’andazzo, e non solo in quella pubblica amministrazione. L’eccezionalità, sta sempre nell’azione della Magistratura che, come avrebbe detto Galileo Galilei, “eppur si muove”, ma intermittenza….

    Ti Saluto, Amico.

    F.R

  2. Ho denunciato il mio datore di lavoro presso l’ispettorato di Bari il 2 aprile scorso, prima di questa seconda retata. Mi sto già preoccupando del fatto che non otterrò giustizia…

  3. Le tangenti ci sono sempre state e molti imprenditori tra il tenere in regola i lavoratori e pagare le tangenti preferiscono la seconda opzione. Nelle campagne credo che una visitina andrebbe fatta…

  4. Bufi si mettesse una mano sulla coscienza sia quando denuncia qualcuno che quando fa i conti ai suoi clienti!!!!

  5. Ma siamo sicuri che proprio a Bufi siano andati a chiedere tangenti? Conoscendolo, in quanto è stata sempre una persona scorbutica ed un arrampicatore sociale (ma personalmente lo considero un lavapiatti), forse è stato lui a chiedere qualche favore che non è andato a buon fine e ciò forse gli ha dato modo di farsi pubblictà in modo socrretto…..meditate gente per chi conosce il BUFI

  6. E a te chi ti conosce, visto che non ti firmi?

    Tolto il fatto che il lavapiatti è un mestiere come tutti gli altri ed ha pari dignità, le uniche persone scorrette che vedo qui sono quelle che diffamano senza mostrarsi con nome e cognome.

    Marina Sozi

  7. “Si degusta anche la legalità”…, ma che razza di titolo è…..Ma chi è questa giornalista che s’inventa questi titoli ……….?

    Micheli Giovanni

  8. Alla gent.ma Marina Sozi………..

    l’anonimato è certamente uno scudo per riparare la vera identità di chi vuole espimere qualcosa, ma è anche uno scudo per esporre proprie idee che potrebbero essere non condivise da altri ed essere oggetto di cirtiche pesanti. Ecco perchè, a scanso di equivoci, si prefirisce a volte non pubblicare il proprio nome e cognome.

    Comunque, l voglio dire solo una cosa in merito al suo commento……..

    “Una cosa è diffamare ed un’altra (cosa molto più grave) è calunniare…”, ma siamo proprio sicuri che questi datori di avoro sono proprio esenti da colpe….

    Chi le scrive è un onesto imprenditore che conosce le reltà lavorative dove la crisi attuale ha fatto andare fuori di testa altri datori di lavoro

  9. Ritengo sia cosa saggia riflettere sempre nel merito delle cose scritte, la forma è un fattore secondario, come l’identità di chi scrive. Lo pseudonimo, è anche una “difesa preventiva”, nei confronti forse di “gente poco pacata” che, purtoppo, infesta molti ambiti dell’agire umano. Viviamo un clima di intolleranza, per cui se vogliamo esprimere delle opinioni forti, inevitabilmente, dobbiamo dotarci dello “strumento giusto”!

    Discutiamo seriamente e serenamente delle cose… non su chi siamo, diversamente, saremmo la prova vivente che “il berlusconismo”, la “politica dell’apparenza”, e non della sostanza, ha permeato e negativamente anche le ns. persone.

    FALKOROSSO

  10. L’anonimato può essere anche un mezzo per poter dire qualsiasi cosa, anche priva di fondamento, senza doversene assumere la responsabilità. Io non sto discutendo di apparenze, ma di fatti precisi: sto rilevando che una persona si permetta di diffamare e/o calunniare un’altra persona senza portare prove di quello che affrema e senza assumersi la responsabilità delle proprie accuse. Quanto alla “difesa preventiva”, dalle mie parti c’è un detto: “chi male pensa, male agisce”.

    Marina Sozi

  11. Ha ragione Lei, che vuole che Le dica, almeno così la smettiamo di parlare di aria fritta e di proverbi che, saranno pur bastevoli x le Sue argomentazioni, ma non certo per le mie. Sulla calunnia, concordo, sul resto, se non Le dispiace, resto del mio convincimento. Se Le va discuta nel merito, se non le va e, s’appiglia a qualcos’altro, il problema è Suo, non mio. Buon 25 aprile.

  12. Gentilissimo signor anonimo n. 5 del 23 aprile 2009 ore 19.37, chi Le scrive sa bene cosa significhi assumersi delle responsabilità e rischiare anche delle querele quando si scrive e si fa giusta informazione. Lei ha scritto delle cose abbastanza gravi riferite ad un cittadino facilmente individuabile ma non ci permette di individuare Lei. Non abbiamo altra scelta, o lei ci manda un suo recapito o indirizzo di posta elettronica per dare la possibilità al cittadino offeso di replicare oppure saremo costretti a cancellare il suo commento (se lo facesse direttamente lei le farebbe onore). Grazie per la sua disponibilità.

  13. Io ho portato le mie argomentazioni precise: chi fa un accusa dovrebbe addurre delle prove certe a dimostrazione di ciò che va affermando; e dovrebbe firmarsi per assumersi la responsabilità di eventuali inesattezze o falsità. Troppo facile accusare come fa lei. Ed infine: se davvero è così semplice e conveniente denunciare abusi ed illegalità, perché sono in così pochi a farlo? Le dò un consiglio: alla prossima crisi economica, per risollevarsi, si faccia della “pubblicità scorretta” come ha fatto il signor Bufi. L’Italia ne guadagnerebbe.

    Marina Sozi

I commenti sono chiusi.

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