Condannato a morte dall’omertà mediatica
di Alessandro Cisilin, Megachip – da Galatea – 29/4/08
A Gela c’è un uomo, un uomo nato a Gela cinquantasette anni fa. Rosario Crocetta è diplomato ragioniere e vive sotto scorta, una scorta raddoppiata proprio nel giorno del suo ultimo compleanno ai livelli delle più alte cariche dello Stato. La mafia ha deciso di farlo fuori. La motivazione è scontata. Fa il sindaco dal 2003 grazie al successo in due elezioni, la prima vinta dopo una sentenza del Tar siciliano che rovesciò l’esito del voto (gli furono inizialmente attribuite un centinaio di schede in meno mentre ne aveva oltre cinquecento in più), la seconda con un consenso di massa. E ha fedelmente rispettato la promessa delle sue campagne elettorali, sforzandosi ogni giorno di sottrarre la città al controllo politico-economico mafioso.
Semplice, dirompente, rivoluzionario per mero senso civico, prima ancora che per motivazioni di militanza nella sinistra radicale. Il risultato è che l’8 febbraio scorso viene convocato dal questore locale.
“Mi regalò un santino con San Michele Arcangelo inciso su pelle con la preghiera della polizia. Non finirò mai di ringraziare la vicinanza umana oltre che professionale delle forze dell’ordine. Tra l’altro credo nei simboli e capii il dono quando mi mandarono dal prefetto. La polizia e la Dda di Caltanisetta avevano scoperto che c’era un piano di Cosa Nostra per ammazzarmi tra gennaio e febbraio”.
Febbraio è passato.
“Le condanne a morte della mafia non vengono revocate, non sono a termine ”.
Ne ha avute delle altre in passato?
“E’ stato ad esempio sventato un attentato delle cosche locali nel 2003”.
Minacce?
“Spesso, al telefono, a me e al mio legale, sin da quando dichiarai in un’intervista alla Rai che mi stavo candidando per combattere la mafia. Ma non me ne curo, chissenefrega delle telefonate. Il piano comunicatomi è però stavolta ben altro, e il prefetto ha ritenuto di renderlo pubblico. Una decisione che crea qualche problema alle sue indagini per il venir meno del segreto investigativo, ma che serve a darmi una protezione in più, per l’attenzione stessa suscitata dalla notizia .”
E l’attenzione mediatica aiuta?
“In realtà a volte non capisco da che parte stiano i media. Blindato come oramai sono, a casa e in municipio, i modi per farti fuori sono solo due: o ti fanno saltare in aria o ti sparano a distanza durante un’uscita pubblica. Ed è successo che, con ore di anticipo rispetto alla mia partecipazione alla processione del venerdì santo, è spuntata una notizia di agenzia che forniva i dettagli dei miei movimenti e dei giubbotti antiproiettile che avrei portato assieme agli uomini della scorta ”.
Alla stampa però lei rimprovera spesso i silenzi, come sul caso di una sentenza di mafia scritta con quasi otto anni di ritardo.
“Si hanno sei mesi per depositare le motivazioni di una sentenza. Il giudice Edi Pinatto ci ha messo anni facendo uscire gente del calibro di Carmelo Barbieri, considerato il postino di Madonia e Provenzano, il cognato Giuseppe Lombardo, la moglie di Madonia Maria Santoro, la sorella Stella, sposata con Lombardo, e il cugino Augello. Praticamente i vertici di una cosca pericolosissima, con condanne da dieci a ventiquattro anni. Il ritardo ha fatto scadere i termini di carcerazione preventiva e poi anche il periodo di soggiorno obbligato. Sono tornati a Gela da tre anni ”.
Ora finalmente, dopo le sue denunce e l’intervento di Napolitano, la sentenza è stata scritta.
“Sì, ma il ritardo ha determinato nodi procedurali tuttora da risolvere, sicché mi sono ritrovato Barbieri con moglie e figli a marciare in quella stessa processione. La mia denuncia stata ripresa solo di recente da un’agenzia, facendo scoppiare il clamore. Ma erano anni che ne parlavo ai massimi organi competenti, dal parlamento alla magistratura”.
E ai giornalisti?
“Certo, a chiunque, anche con interviste mai pubblicate”.
Nomi, testate?
“C’è stata una disattenzione generalizzata dei mezzi d’informazione di massa, farei un torto a quelli che non cito. Preferisco ricordare i pochi che ne hanno parlato, come Diario di Deaglio, che sono però media di nicchia”.
Dopo lo scandalo è cambiato qualcosa nell’atteggiamento della stampa nazionale?
“Alla Rai, quando si seppe della mia condanna a morte, i giornalisti decisero di dedicarmi per solidarietà la puntata di un programma di approfondimento. Un paio di giorni dopo arrivai in redazione a Roma, e appresi che l’intervista era stata bloccata dal vice direttore generale Leone per un problema di “par condicio”. Io non ero nemmeno candidato ed eravamo ancora lontani dal mese pre-elettorale”.
Par condicio con la mafia…
“Veramente i mafiosi hanno un’attenzione superiore. Quando lamentai la presenza di Barbieri in piazza per i riti pasquali, i media hanno integralmente pubblicato una sua lettera di protesta, e all’indomani venne lungamente intervistata la moglie”.
Si parla troppo di mafia e poco di antimafia?
“Sì, l’antimafia non fa notizia in Italia. Perfino i grandi blitz della polizia diventano fatti marginali in poche ore”.
E allora parliamone. Racket, armi, droga, rapporti con la politica, qual è il settore chiave che va prioritariamente colpito?
“Non sono nodi scindibili. La mafia non è un fenomeno di devianza, non si può nemmeno parlare di mafia senza la coesistenza di tre fattori: un’organizzazione criminale, la presenza di interessi economici rilevanti e i rapporti con la politica. La battaglia va combattuta a tutto campo. Si tratta solo di scegliere se farla o meno. Per dirla con Machiavelli, la politica potrebbe essere l’architetto di una nuova società. Il paradosso è che ci sono voluti centoventidue anni dall’unità d’Italia per arrivare, col 416 bis, a una legislazione che riconosca specificamente il fenomeno mafioso. E chi la fece, ossia La Torre, è stato poi ammazzato, così come chi tecnicamente la scrisse, ossia Falcone e Borsellino”.
A Gela la battaglia si fa.
“E’ stata la prima amministrazione ad aver concretamente posto l’antimafia come massima priorità, e sta demolendo il controllo mafioso degli appalti e del territorio, quel controllo che è tra l’altro responsabile della mancata crescita economica della regione. E il cambiamento è reale. Con i suoi ottantamila abitanti è divenuta la città in Italia col maggior numero di denunce per estorsione, superando l’intera provincia di Palermo. E’ la dimostrazione che si può. Oggi pochissimi qui pagano il pizzo. E da Gela, da questo lembo della Sicilia occidentale tradizionalmente sotto il controllo incontrastato della mafia, il vento è soffiato anche sul resto dell’isola, con la prolificazione delle associazioni antiracket e la rivolta degli imprenditori in Confindustria”.
Le minacce mafiose sono allora comprensibili…
“Questa lotta senza precedenti ci sovraespone, e chiedo ora più che mai la massima attenzione allo Stato. Quando decidono che è il momento di far fuori qualche uomo delle istituzioni, sono decisioni che non vengono prese dal piccolo clan locale, bensì dai vertici mafiosi. Vuol dire che c’è un cambio di strategia, e sarebbe gravissimo, oppure che si mira a dare un colpo esemplare all’antimafia”.
Lei però sembra un uomo che non ha paura.
“Si dice che il coraggio venga dal cuore. Per quel che mi riguarda viene dalla testa e dalle scelte più che da un moto emotivo. Al coraggio ci si educa. Quando alla mia prima campagna elettorale mi arrivavano le prime richieste mafiose di favori, dicevo no ma la paura era tanta. Poi è giunta la responsabilità verso una città devastata dalla mafia e vogliosa di uscirne, e la mia forza interiore arriva tutta da lì, dalla consapevolezza che non puoi permetterti di non averla”.
Lei però l’emotività la usa, anche politicamente, essendo stato il primo uomo delle istituzioni, in Sicilia e in tutta Italia, a fare outing della propria omosessualità.
“Non ne posso più con ‘sta storia del gay […ride…] F inirà che farò una dichiarazione di eterosessualità e mi costringerete a sposarmi”.
I sentimenti comunque li espone pubblicamente, scrivendo poesie. Che ruolo ha la cultura nell’antimafia?
“Senza la cultura non si costruisce nulla, neanche un percorso politico. Così come non serve necessariamente una penna per scrivere una poesia, la si produce anche nel moto di una scelta concreta. Nella mia condizione blindata, poi, i versi arrivano spesso per censurare il sacrificio dei sentimenti. Altro che outing , è disperazione interiore, scritta su un corpo negato all’amore e agli abbracci”.
Certo che il Sindaco Crocetta ne ha di fegato, anzi mi sembra che lo abbia a sinistra invece che a destra.