“Cresce il consenso dei clan, ma nessuno parla di mafia”: l’allarme di don Angelo Cassano dopo la festa per la scarcerazione del killer di Fazio

Il sacerdote e presidente di Libera Puglia racconta quanto la città sia terreno fertile per la criminalità organizzata. E ammonisce la politica: “Su questi temi c’è un silenzio imbarazzante in campagna elettorale” – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

In questa città nessuno vuole parlare di mafia, ma non è con il silenzio che si risolvono i problemi. Né sottovalutando il fatto che a Bari la criminalità sta riacquistando consenso sociale e che l’impoverimento della popolazione a cui stiamo assistendo può creare ulteriore terreno fertile“: don Angelo Cassano, parroco di San Sabino e referente regionale di Libera, è un fiume in piena quando gli si chiede cosa sta succedendo in città.

Partiamo dalla cronaca: la scarcerazione di Lello Capriati, uno degli autori dell’omicidio di Michele Fazio, che è stato accolto a Bari vecchia come una star.
I Capriati erano e sono molto forti e la reazione della gente al ritorno di quella persona dimostra che hanno grande consenso: questo dovrebbe allarmare chi di dovere. I fuochi pirotecnici, i messaggi sui social network, i neomelodici, l’inneggiare continuo alla mafia sono segnali preoccupanti“.

Ecco, i fuochi sparati ogni sera. Pare che non ci sia modo di fermare un fenomeno illegale.
Sembrano un fatto di folklore invece sono un’affermazione della criminalità nei territori. Capisco che intervenire non sia facile, ma occorre un’azione sinergica delle forze dell’ordine, coordinata dalla prefettura, per fermare questa assurda consuetudine“.

C’è ancora un problema Bari vecchia? È un luogo molto amato dai turisti.
“Ci sono i turisti ma anche le attività illecite, soprattutto lo spaccio. Chi ci vive, denuncia una situazione in peggioramento”.

Quindi non è tutto oro…
“No. E bisognerebbe anche interrogarsi su chi oggi ha la possibilità di investire, perché nel borgo ormai è tutto in vendita e questo non fa che sollecitare gli interessi dei clan. Molte persone che vi si erano trasferite negli anni stanno cambiando quartiere, affitti se ne trovano pochi perché tutti vogliono aprire b&b, ma andando di questo passo diventerà soltanto una grande vetrina, nella quale non c’è più spazio neanche per attività artigianali che non siano quelle legate al cibo”.

Lei in quel quartiere ci è cresciuto: chi pensa rimarrà?
“Se continua così, soltanto i turisti e le persone vicine alla criminalità. Oggi rischiamo quello svuotamento che per anni è stato impedito con battaglie sociali e politiche. Anche perché questo mix di turismo e movida ha fatto ulteriormente aumentare i fenomeni di spaccio”.

Altri quartieri però non vivono situazioni migliori.
“Al quartiere San Paolo c’è fermento ma anche a Libertà, nonostante l’operazione Vortice-Maestrale l’abbia parzialmente ripulito e abbia mostrato che i giovanissimi sono coinvolti in tante attività illegali, spaccio in primis, anche quelli di buone famiglie, perché l’idea del guadagno facile piace a tutti”.

A proposito di soldi: i vecchi mafiosi li nascondevano, oggi invece la regola è ostentare.
“Proprio ieri mi è capitato di vedere due ventenni alla guida di un macchinone, che non so come facessero a permettersi. L’esibizione del denaro, delle auto e moto di lusso, degli abiti firmati è un modo per affermare la superiorità del componente del clan, ma è anche un sentimento diffuso tra i giovani, che va letto all’interno del paradigma che l’economia liberale ha prodotto nella società. Il modello vincente è l’uomo ricco, il motto è “più hai e più vali” e questa cosa viene amplificata nel contesto mafioso”.

In questo i social aiutano molto. Un’inchiesta di Repubblica ha svelato come le giovani leve dei clan li utilizzino in modo sapiente.
“Sono molto presenti e non hanno paura di mostrarsi, anche quando commettono reati. Questo dimostra che non hanno il senso delle regole e per questo bisogna interrogarsi dal punto di vista pedagogico. Del resto anche don Luigi Ciotti, il fondatore di Libera, ultimamente ci ha spinto a riflettere sulla prosecuzione dei progetti tradizionali di educazione alla legalità. Nelle scuole i ragazzi non sanno neanche chi sono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, continuare a fare una memoria che non sia capace di leggere l’attualità non serve. Dobbiamo educarli alla vita, prima che alla legalità, fargli capire che esistono modi e spazi diversi per socializzare e divertirsi. Quest’estate, per esempio, abbiamo tenuto aperti gli oratori un mese e mezzo, ma dovremmo farlo sempre”.

Però per farlo serve gente che investa il suo tempo in questo.
“Oggi invece pochissimi si dedicano al volontariato e rispetto a questo c’è un vero e proprio allarme. In tale prospettiva sarebbe utile utilizzare i più giovani e spingerli a mettersi in gioco”.

Lei invita alla riflessione, ma il problema della mafia è completamente assente dalla campagna elettorale.
“Questa campagna non tocca molti dei temi più importanti, dalle mafie all’ecologia integrale, all’accoglienza e al lavoro. Su mafia c’è assoluta assenza di ragionamento e questo vuol dire che il consenso elettorale è più importante. Anche il silenzio sulla scelta dei candidati, ancora una volta fatta a tavolino e imposta ai territori, credo sia allarmante”.

All’inizio ha detto che Bari è una città che non vuole dirsi mafiosa. Se potesse lanciare un appello alle istituzioni, cosa direbbe?
“Non nego che in passato si sia fatto tanto, ma in questo momento vedo una debolezza delle istituzioni, un’incapacità di capire che il fenomeno mafioso sta ulteriormente crescendo insieme all’impoverimento sociale, che diventa humus per la criminalità. Le istituzioni devono saper cogliere questo grido d’allarme che viene dal territorio e non reagire come fanno sempre dicendo che chi ne parla vuole attaccarli. Non è così che si risolvono i problemi. Questo silenzio mi preoccupa moltissimo”.

 

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