Biografia di Aldo Moro
Aldo Moro nacque il 23 settembre 1916 a Maglie, in provincia di Lecce. Conseguita la Maturità Classica al Liceo “Archita” di Taranto, si iscrisse presso l’Università degli studi di Bari alla Facoltà di Giurisprudenza e conseguì la laurea con una tesi su “La capacità giuridica penale”.
Partecipò attivamente alla Federazione Universitaria Cattolica Italiana, di cui fu presidente nazionale nel periodo 1938-1941. Nel 1943 fondò a Bari il periodico “La Rassegna”, che venne stampato fino al 1945, anno in cui sposò Eleonora Chiavarelli, dalla quale ebbe quattro figli e divenne presidente del Movimento Laureati dell’Azione Cattolica e direttore della rivista “Studium”.
Tra il 1943 ed il 1945 iniziò ad interessarsi di politica, guardando prima verso la componente della “destra” socialista e successivamente al costituendo movimento democristiano, aderendo alla componente dossettiana, la “sinistra DC”. Nel 1946 divenne vicepresidente della Democrazia Cristiana e fu eletto all’Assemblea Costituente, entrando a far parte della Commissione incaricata di redigere il testo costituzionale e, nel 1948, venne nominato sottosegretario agli esteri nel gabinetto De Gasperi. Divenne professore ordinario di diritto penale presso l’Università di Bari.
Nel 1953 venne rieletto alla Camera e fu presidente del gruppo parlamentare democristiano; nel 1955 fu ministro di Grazia e Giustizia nel governo Segni e nel 1956 fu tra i primi eletti nel consiglio nazionale della DC durante il VI congresso nazionale del partito. Durante i governi Zoli e Fanfani ricoprì la carica di Ministro della Pubblica Istruzione, introducendo lo studio dell’educazione civica nelle scuole.
Nel 1963 ottenne il trasferimento all’Università di Roma, in qualità di titolare della cattedra di Istituzioni di Diritto e Procedura penale presso la Facoltà di Scienze Politiche. Fino al 1968 ricoprì la carica di Presidente del Consiglio alla guida di governi di coalizione con il Partito Socialista Italiano insieme ai Socialdemocratici e ai Repubblicani.
Dal 1969 al 1974, assunse l’incarico di ministro degli Esteri, per divenire nuovamente Presidente del Consiglio fino al 1976, quando fu eletto Presidente del consiglio nazionale del partito.
Fu uno dei leader politici che maggiormente prestarono attenzione al progetto del cosiddetto Compromesso storico di Enrico Berlinguer, che aveva proposto una innovativa alleanza politica fra Comunisti, Socialisti e Cattolici, in un momento di profonda crisi economica, sociale e politica in Italia.
Nel 1978 Moro, presidente della Democrazia Cristiana, fu tra 98 coloro che individuarono una strada percorribile per un governo di “solidarietà nazionale” che includesse anche il PCI, sia pure senza ministri nella prima fase di attuazione.
Il progetto politico si proponeva di arrivare ad una alternanza di governo che consentisse a tutte le formazioni popolari del Paese di far valere i propri progetti e programmi, per far sì che la rappresentanza della maggior parte dei cittadini avesse la possibilità di partecipare al governo del Paese. Il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, l’auto che trasportava Moro dall’abitazione alla Camera dei Deputati fu intercettata in via Fani da un commando delle Brigate Rosse, che assassinarono Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Giulio Rivera, Raffaele Jozzino, uomini della sua scorta.
Il presidente della Democrazia Cristiana venne sequestrato e tenuto prigioniero per 55 giorni, finchè venne ritrovato, cadavere, il 9 maggio nel cofano di una Renault 4 a Roma, in via Caetani, volutamente vicina sia a Piazza del Gesù, sede nazionale della Democrazia Cristiana e via delle Botteghe Oscure, dove era situata la sede nazionale del Partito Comunista Italiano.
Biografia di Peppino Impastato
Peppino Impastato nacque il 5 gennaio 1948 a Cinisi, in provincia di Palermo, da una famiglia di legata alla mafia (tra gli altri il padre Luigi era stato inviato al confino duranteil periodo fascista per legami con la mafia e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso in unagguato nel 1963).
Nel 1965 fonda il foglio “L’idea socialista” e aderisce al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Dal 1968 in poi partecipa, con ruolo dirigenziale, alle attività dei gruppi della Nuova Sinistra, sostenendo le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati.
Nel 1975 costituisce il gruppo “Musica e cultura”, che svolge attività culturali e nel 1976 fonda Radio Aut, radio libera autofinanziata, con cui denuncia i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini sottolineando il ruolo del capomafia Gaetano Badalamenti nei traffici internazionali di droga. Il programma più seguito della radio era la trasmissione satirica “Onda pazza”.
Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali, ma viene assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio dello stesso anno, durante la campagna elettorale, facendo esplodere il suo corpo sui binari della ferrovia con il tritolo. Giuseppe Impastato viene comunque simbolicamente eletto con 260 voti al Consiglio comunale. Stampa, forze dell’ordine e magistratura classificarono l’omicidio come atto terroristico in cui aveva perso la vita l’attentatore stesso, riferendosi anche ad una lettera che Peppino aveva scritto anni prima. Grazie all’attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato, che si distaccano pubblicamente dalla parentela mafiosa, ai compagni di militanza di Peppino e al Centro siciliano di documentazione di Palermo (nato nel 1977 e intitolato a Giuseppe Impastato nel 1980), viene individuata la matrice mafiosa del delitto e viene riaperta l’inchiesta giudiziaria.
Il 9 maggio del 1979, il Centro siciliano di documentazione organizza, con Democrazia Proletaria, la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d’Italia, a cui parteciparono 2000 persone provenienti da tutto il paese.
Nel 1984 l’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, in base alle indicazioni del Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato i lavori del primo pool antimafia e venne assassinato nel luglio del 1983, emise una sentenza, firmata da Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, anche se questo 104 rimane attribuito ad ignoti.
Nel 1986 vengono pubblicati il volume “La mafia in casa mia”, scritto dalla madre di Giuseppe Impastato, Felicia Bartolotta, e il dossier “Notissimi ignoti”, nei quali viene indicato come mandante del delitto Impastato il boss Gaetano Badalamenti, condannato in quel periodo a 45 anni di reclusione per traffico di droga dalla Corte di New York, nel processo alla Pizza connection. Nel gennaio 1988, il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti e4 anni più tardi archivia il caso dell’omicidio di Peppino, ribadendo la matrice mafiosa del delitto ma lasciandolo a carico di ignoti, anche se venne ipotizzata una responsabilità dei mafiosi di Cinisi.
Nel maggio del 1994 il Centro Impastato chiede la riapertura dell’inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, perchè venga interrogato sul delitto Impastatoil nuovo collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell’omicidio; l’inchiesta viene quindi formalmente riaperta.
Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto.
I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l’Ordine dei giornalisti si costituiscono parte civile. Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini.
Il 5 marzo 2001 la Corte d’assise riconosce Vito Palazzolo colpevole e lo condanna a 30 anni di reclusione; l’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all’ergastolo.