Un rapporto stretto, insomma, quello tra Capristo e Ragno, che nelle scorse settimane ha rimediato una condanna a 2 anni e 8 mesi nel processo che ha inflitto 10 anni di reclusione all’ex pubblico ministero di Trani Antonio Savasta, considerato l’organizzatore dell’associazione a delinquere che in cambio di denaro e regali costosi, aggiustava indagini e processi degli imprenditori amici. Nella sentenza il tribunale di Lecce ha condannato a 4 anni di carcere l’altro magistrato tranese Luigi Scimè. Ed è sull’arrivo di Ragno a Taranto, nel maxi processo sul disastro ambientale e sanitario dell’Ilva, che ora si stanno concentrando i pm potentini: come e perché un dirigente Ilva ha improvvisamente deciso di cambiare legale affidandosi a Ragno? Che sia stato proprio Capristo a favorire questa operazione? Saranno i numerosi interrogatori e le indagini che la procura di Potenza ha svolto in queste settimane a delineare il quadro della vicenda. Un’attività investigativa corposa e ancora in corso che dovrà fare luce sulla modalità con la quale Capristo ha gestito il processo in corso, con l’ormai famosa “trattativa per il patteggiamento” nella quale comparve anche l’avvocato Piero Amara, il legale arrestato per i falsi depistaggi dell’Eni. Per scavare nella vicenda tra le numerose persone sfilate dinanzi ai pm tarantini, ci sarebbero anche alcuni dei magistrati del pool che ha portato alla sbarra l’azienda e la famiglia Riva. Quello che bisognerà capire è se anche a Taranto il procuratore Capristo ha esercitato la sua autorità come avrebbe fatto a Trani. Nelle 200 pagine di motivazioni con cui il Riesame di Potenza ha confermato i domiciliari per Capristo, i giudici scrivono che “il Procuratore della Repubblica a Trani e poi a Taranto si considerava ed era considerato un uomo di potere, in grado di strumentalizzare la sua qualità di magistrato con funzioni direttive ed esercitare un potere debordante, forte del riflesso di amicizie costituite in più settori, anche apicali, dello Stato”.

A confermalo sono state le dichiarazioni del sostituto procuratore di Trani Giovanni Lucio Vaira che interrogato a ottobre 2019 ha confessato come “il suo atteggiamento nei confronti del personale ausiliario e verso il personale di magistratura a lui legato da rapporto gerarchico lasciano trasparire una consuetudine di prevaricazione sottilmente celata”. Ed infine lo stesso Vaira ha confermato che l’ispettore Michele Scivittaro, autista di Capristo finito anche lui ai domiciliari, era “senz’altro era uomo di Capristo“. Fu proprio Scivittaro a recarsi dal pm Curione per chiedere l’accelerazione della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’uomo denunciato per usura dai fratelli Mancazzo, impreditori ritenuti amici di Capristo. E se finora le versioni trapelate raccontavano come Scivittaro avesse tentato di scagionare il suo capo dalle accuse, dalle carte del tribunale del Riesame emerge una nuova verità: Scivittaro avrebbe infatti informato preventivamente Capristo della visita che di lì a poco avrebbe fatto alla pm Curione. Nell’interrogatorio di garanzia l’ispettore di polizia “ammetteva infatti – si legge nei documenti dell’inchiesta – di aver parlato con il Capristo prima di recarsi a Trani il 16 aprile 2018, pur precisando che, volendo dar corso ad una sua autonoma decisione, aveva ritenuto di chiedere il ‘permesso’ del Procuratore per potersi rivolgere alla Curione”. Per i giudici del Riesame, però, “si tratta con ogni evidenza di un tentativo inconsistente e maldestro” di scagionare Capristo, ma “non è pensabile che avesse deciso di gestire da solo le problematiche connesse alla denuncia presentata dai fratelli Mancazzo. Gli mancavano non solo le competenze giuridiche per farlo, e, ancor più, gli mancava quella indispensabile confidenza con la Curione che avrebbe reso possibile una conversazione su temi sensibili”. Capristo, insomma, resta al centro dell’inchiesta che ora abbraccia Trani e Taranto, un uomo ritenuto a capo di un “centro di potere opacizzato, profondamente illegale, che aveva coagulato attorno all’odierno ricorrente un gruppo di soggetti che, per la loro dedizione al capo, venivano definiti ‘fedelissimi’”. Parole durissime che infine lo descrivono come uomo abile “nell’intrecciare amicizie, interessi e rapporti di forza in ambiti istituzionali” indicativi “di una pericolosità criminale di significativo rilievo, plasmata e stratificata nel tempo”.